I'M FROM BARCELONA
I’M FROM BARCELONA

Uno dei tanti processi che periodicamente mi ricordano quanto tanto la musica influenzi le mie giornate è la constatazione dei continui incroci tra episodi, anche banali, che capitano quotidianamente e frammenti, spesso piccoli e apparentemente insignificanti di dischi, canzoni e amenità varie che in un modo o nell’altro finiscono per collegarsi ad essi. Spesso ho la netta sensazione che, per quanto mi riguardi, sia la vita di tutti i giorni a ruotare attorno alla musica e non la musica a capitare incidentalmente, per quanto spesso, dentro la vita reale. L’altro giorno è bastato imbattermi in un paio di titoli di dischi in uscita per attivare tra me e me stesso una serie di considerazioni circa un argomento che in realtà ritorna da sempre ciclicamente nelle mie analisi, sia quelle personali che quelle relazionate alla gente che mi sta attorno. I dischi sono i nuovi album di I’m from Barcelona e Colleen Green e i rispettivi titoli, apparentemente antitetici, sono Growing Up Is for Trees e I Want to Grow Up. Entrambe le affermazioni si adattano perfettamente ai relativi autori e riflettono altrettanto fedelmente le corrispondenti età anagrafiche. Necessità di crescita e rifiuto della stessa sono due temi ricorrenti e difficilmente inquadrabili in opinioni pre costituite, per quanto in giro in molti sembrano avere giudizi fermi e sicuri sul tema. Per tanti anni pensavo fosse una cosa solo mia sta storia di non impegnarmi a crescere, inaugurata ufficialmente quando a cavallo dei 15 anni mi piombò tra capo e collo quel disco di Bennato che rileggeva la favola di Peter Pan cambiando la mia prospettiva sul come osservare le cose. In effetti a quell’epoca ero in anticipo sui tempi, bruciando di qualche anno la psicologia tutta (The Peter Pan Syndrome: Men Who Never Grown Up, il trattato con cui Dan Kiley definì la questione, usci nell’83 mentre Sono Solo canzonette di Edoardo Bennato venne pubblicato nel 1980). In realtà l’eterno fanciullo che credevo fosse faccenda solo mia era invece farina del sacco di un certo Ovidio, che già duemila anni fa codificava l’archetipo con aspetti mitologici nelle sue Metamorfosi. Il puer aeternus, eterno fanciullo appunto: un’esistenza condotta impegnandosi ad evitare le responsabilità e a schivare qualunque impegno definitivo. Una vita che fa perno su indipendenza e libertà, intollerabile porre limitazioni e confine alcuno. Che detta così sinceramente è una visione cui difficilmente potrei trovare qualcosa da obiettare. Se non che ad un certo punto ti accorgi che per quanto ti impegni a schivare problemi e responsabilità capita che prima o poi siano loro a scovare te e ad inchiodarti in un angolo da cui sei totalmente incapace di uscire perché non hai in mano alcuno strumento per farlo, non ci sei abituato. Però poi magari quel momento potrebbe anche non arrivare. Allora tanto vale continuare ad ascoltare le canzoni eternamente fanciulle degli I’m from Barcelona, efficace surrogato all’idea di affrontare un mondo concreto e una vita reale.

I’m from Barcelona “Violins

Ecco, appunto.

No Age “Six Pack

Con le cover ho un rapporto strano. Ogni volta che mi giunge notizia che uno dei “miei” gruppi pubblicherà la cover di una delle “mie” canzoni non sto nella pelle dalla voglia di ascoltarla. Poi immancabilmente quando la ascolto resto indifferente quando non addirittura contrariato. Ovvio che sia così. Se la canzone originale è una delle “mie” canzoni perché mai qualcun altro che non sia il suo autore originale dovrebbe riuscire a farne una versione migliore? In definitiva sono giunto alla conclusione che non è l’ascolto della canzone che mi interessa, bensì la dichiarazione ideologica che la scelta della canzone sottende. Nel caso dei No Age, gruppo troppo spesso (o troppo presto) dimenticato da molti, la dichiarazione a questo giro è di quelle che non lasciano spazio al dubbio: un 45 giri con su un lato Six Pack dei Black Flag e sull’altro Sex Beat dei Gun Club. Complimenti vivissimi.

Birth Defects “Party Suicide

Gli show degli Oh Sees sono piuttosto memorabili. C’è un motivo principale (la presenza di John Dwyer) e diversi motivi collaterali. Uno di questi è (era perché ora non c’è più) la figura di Petey Dammit, lo skinhead spilungone che suona una chitarra letteralmente appesa al collo facendola passare tramite amplificatori da basso (questa me l’hanno spiegata perché di tecnica notoriamente non capisco un accidente). Da quando ha abbandonato gli Oh Sees aspetto di vederlo ricomparire da qualche parte. Logico dunque che l’altro giorno, quando mi è capitato sotto gli occhi il video dei Birth Defects, la mia attenzione sia stata immediatamente catturata dalla sua presenza sulla sinistra. Non più skinhead ma indubitabilmente mod (culture del resto limitrofe e spesso sovrapponibili) e stessa chitarra (o è un basso?) agganciata al collo. Apprendo che il batterista di questi Birth Defects suonava nelle Bleached, il disco sarà prodotto da Ty Segall ed uscirà per la Ghost Ramp, nuova etichetta di Nathan “Wavves” Williams. Praticamente una bomba atomica pronta ad esplodere. Immagino che i promoter non abbiano bisogno del mio consiglio per segnarsi il loro nome e portarli immediatamente a suonare dalle nostre parti.

Joanna Gruesome “Last Year

La scorsa settimana ho letto un sacco di roba riguardo Sanremo scritta da un sacco di gente che fa parte del “mio giro”. Sinceramente mi sfugge il perché qualcuno che faccia parte del “mio giro” dovrebbe occupare il suo tempo guardando Sanremo e ascoltando certe canzoni e pure spendere le proprie energie per commentare l’evento. Non vedo un motivo che sia uno. Soprattutto se durante quella stessa settimana i Joanna Gruesome mettono a disposizione l’ascolto di una nuova canzone che sarà inclusa nel loro secondo album in uscita il prossimo (molto prossimo) 11 di maggio.

Dick Diver “Tearing the Posters Down

E’ abbastanza evidente che sto andando in fissa con l’Australia. I Dick Diver arrivano da Melbourne e stanno per pubblicare il loro terzo album per la Trouble in Mind, una di quelle etichette che sono garanzia di qualità. Questa canzone porta dritti tra le braccia di Chills e Go-Betweens e piacerà senza dubbio a chi apprezza i più recenti percorsi di una certa area di nuova America che ha tanto il sapor di antico (diciamo Woods e Real Estate, tanto per tracciare una linea).

Arturo Compagnoni


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