In memoria di Shane MacGowan
Il tapis roulant fila veloce: si riesce ad attraversare il Blocco in una decina di minuti. Sulle pareti sfilano immagini di montagne innevate e caminetti scoppiettanti. Tra abeti rossi coperti di ghiaccio e il Babbo Natale della Coca Cola in 3D che mi strizza l’occhio uscendo dal monitor, la voce di Mariah Carey – ogni anno da cinquant’anni – dice che sono l’unica cosa che vorrebbe per Natale.
L’AI seleziona le notizie per il mio profilo e le fa scorrere sulle distese di morbida neve: un negozio di liquori ha appena aperto al ventisettesimo piano; c’è un ristorante ancora gestito da personale umano che fa servizio.
Ora passano vecchie immagini di città coi loro alberi di Natale. Sono foto di una quindicina d’anni fa: c’era ancora Venezia, Milano con la Galleria illuminata e Bologna, che a quei tempi poteva preoccuparsi delle sue torri: erano in piedi entrambe e la città era ancora abitata.
Quest’estate, i pannelli solari hanno immagazzinato i kilowatt che faranno funzionare il complesso per tutto l’inverno; siamo oltre il 150% di energia necessaria, lo dicono i banner luminosi dei corridoi. In tutta CityLife2.0, da quello che rimane del parco Sempione a est e fino all’ex Ippodromo a ovest, si compostano i rifiuti, si ricicla. L’acqua viene assorbita dall’umidità tramite le pareti aspiranti. La pochissima che piove, viene catturata dalle vasche di accumulo interrate che poi la trattano, la razionano e la mettono in circolo nei Blocchi: due litri al giorno a persona per bere, tre per lavarsi. I panni scrub per la pulizia a secco sono distribuiti in tutti gli appartamenti, ritirati una volta a settimana e riconsegnati dopo i passaggi nelle docce chimiche. Finché ci sarà ossigeno nell’aria, qui dentro la vita andrà avanti quasi come decenni fa.
Arrivo nel mio bilocale già stanco, eppure non credo di aver fatto più di cinquanta passi per attraversare i tre chilometri di corridoi e sedici piani di distanza dalla Coop, uno dei pochi supermercati che ha ancora scaffali e casse automatiche per carte di credito e che accetta chi non ha il chip sottocutaneo. Ovviamente c’è solo la seconda scelta, la prima entra con Amazon Fresh direttamente dall’eliporto dei droni sul tetto e poi viene distribuita dai robot porta a porta.
Le pareti di vetro cominciano a oscurarsi, il sole dev’essere allo zenit. In questa stagione, non servono gli schermi protettivi: fuori ci saranno più o meno trenta gradi, la temperatura più bassa dell’anno.
Apro la porta e scivolo nell’appartamento; metto le birre in fresco e ne prendo una già quasi gelata. Guardo il gratta e vinci incorniciato e incastonato nella parete davanti al divano. Sta lì. Non posso neanche buttarlo via.
È stato prima della fine degli anni Trenta, quando Milano era ancora abitabile, anche se ogni estate un paio di tifoni distruggevano un po’ di automobili e facevano qualche decina di morti. Prima che il quinquennio della grande migrazione svuotasse la pianura del Po, ormai prosciugato: troppa gente senza acqua, cibo, energia.
Mentre tutto pareva andare a catafascio, un gruppo di imprenditori, l’ABBR S.p.A. (Armani, Bertelli, Berlusconi, Rocca) aveva iniziato a costruire a Milano una città nella città, con un board che decideva chi potesse comprare casa lì. Base, il quartiere di CityLife. Mentre nasceva il primo Blocco, il resto delle strade si svuotavano: troppo calde, sporche, violente.
I più ricchi sono scappati a Nord. Rovaniemi, la capitale della Lapponia, la casa di Babbo Natale, della neve e di tutta quella roba lì quand’ero giovane, ancora oggi è la meta più ricercata: fresca d’estate, con le terre attorno coltivabili tutto l’anno, senza problemi di siccità e abbastanza lontana dal mare. Chi non poteva andarsene da Milano sognava un bilocale in uno dei nuovi Blocchi in costruzione.
Un gratta e vinci al bar tabacchi del cinese in Lorenteggio: servivano un po’ di persone comuni, gente qualsiasi, per dar l’impressione che tutti potessero ambire a vivere in CityLife2.0, ed eccomi qui. Giusto prima che la temperatura salisse all’improvviso: quattro gradi in una sola estate nel ’32. I navigli erano spariti e mezza città andava a fuoco.
Oggi è la Vigilia di Natale. Ne è arrivata un’altra, malgrado questa Terra non sia ricca di uomini di buona volontà. Un Dio come quello dell’Antico Testamento avrebbe scatenato molto prima un’Apocalisse con tutti i crismi: le trombe, le cavallette, i mari che bollono, eccetera, eccetera, eccetera. Forse ci ha provato, ma non si aspettava che gli uomini avrebbero costruito una CityLife2.0 al posto dell’Arca.
Oggi mi gira proprio male. Saranno le lucine nei corridoi e la musica nei negozi, sarà la finta neve che scende dal soffitto sulla piazza al centro del Blocco. Mi alzo e vado al giradischi: metto sul piatto If I Should Fall from Grace with God, la puntina sulla quarta traccia. Il fruscio del vinile mi fa pensare al mondo di prima. Chissà cosa ne è della Darsena, di Porta Ticinese, del Parco Segantini.
È la Vigilia di Natale, per festeggiare apro un’altra lattina. Amavo passeggiare per Milano. Torno a sedermi. Il gratta e vinci incorniciato mi fissa dal muro. La birra non è proprio ghiacciata, ma va bene lo stesso.
Fabio Rodda
