Linda Smith scrive canzoni essenziali che portano impresso l’imprinting della musica indipendente più avventurosa. Il suo songwriting, scarno e privo di ornamenti, mette a nudo l’ossatura di melodie dense e profondamente umane. Canzoni sospese in una semplicità quasi trascendente, che sfidano il tempo perché non ancorate a un’epoca specifica, ma a uno spazio in cui la musica esiste nella sua forma più pura, libera dai dettami del presente e immune all’obsolescenza.

Quello di Linda Smith è stato un ritorno sorprendente, probabilmente inaspettato anche per lei. La sua è una storia particolare che parte a metà degli  anni `80 a Baltimora, dove frequenta la scena DIY locale e suona con band minori che non lasceranno traccia come The Symptoms e Ceramic Madonna Head.

In quegli anni si trasferisce temporaneamente a New York, dove, in qualità di chitarrista e autrice, registra il singolo Miracles Tonight (1985) con i The Woods, una band che non ebbe molta fortuna. Il gruppo, inserito nel calderone del post-punk, riuscì comunque a farsi notare: era una delle formazioni preferite dal Village Voice dell’epoca, con concerti al CBGB e al Pyramid a impreziosire il curriculum. Quel singolo è stato ristampato di recente, nel 2023, sotto forma di album, So Long Before Now, arricchito da un pugno di inediti che ne ampliano il contesto.

Il ritorno a Baltimora, sul finire degli anni ‘80, anticipa di poco il periodo d’oro del “lo-fi”, grazie a Cobain e compagni che sdoganano un’attitudine ad uso e consumo del cosiddetto pubblico alternativo. Qualcuno, come Daniel Johnston, fa il botto. Per Linda si aprono al massimo piccole opportunità, in forma di singoli per etichette indie emergenti come Slumberland e Harriet Records. In compenso le sue registrazioni domestiche trovano un pubblico appassionato, nonostante la sua riluttanza a suonare dal vivo.

Tra il 1987 e il 1991 pubblica in cassetta The Space Between The Buildings, Do You Know The Way?, Love Songs For Laughs e Put It In Writing, lavori che consolidano il suo piccolo ma affezionato seguito.

Linda è una pioniera delle registrazioni casalinghe. Ad un certo punto, passa da un 4 a un 8 piste, un Fostex R8 che gli permetterà di registrare due lavori significativi: Nothing Else Matters (‘95) e I So Liked Spring (‘96), quest’ultimo con i testi estrapolati dal lavoro della poetessa Charlotte Mew. Le nuove possibilità di registrazione le consentono anche di ampliare lo spettro della strumentazione utilizzata e qualche campionamento fa la sua timida comparsa.

Tra queste fasi sperimentali si colloca il progetto Yours Truly, con l’album Domesticated (1999). Un lavoro dove Linda Smith interpreta le canzoni di Paul Baroody, adottando un tono decisamente wave che si adatta ai sintetizzatori rudimentali dello stesso Baroody.

L’ultima pubblicazione ufficiale di Linda Smith risale invece al 2001 con Emily’s House, un album concepito alla Millay Colony for the Arts di Austerlitz, New York, un luogo un tempo abitato dalla poetessa Edna St. Vincent Millay.

Da quel momento cala il silenzio, e il nome di Linda Smith si perde nelle cronache minori di una scena sopraffatta da mille cambiamenti: dallo streaming alle infinite possibilità di registrazione offerte dai computer in formato casalingo. Il mondo intimo e artigianale di Linda Smith finisce oscurato dalla modernità. Eppure, dopo quasi vent’anni, una sua vecchia canzone trova nuova attenzione: nel 2018, il brano I So Liked Spring riemerge grazie alla serie tv Forever di Amazon Prime.

È l’inizio di una stagione di riscoperta. Linda ritrova entusiasmo e collabora con i ragazzi di Captured Tracks (sì, quelli dei Lemon Twigs) a una serie di raccolte e ristampe, pubblicate per la prima volta in vinile, che, nonostante gli anni, non hanno perso un grammo del loro fascino originario.

Questi dischi le permettono di conquistare le pagine di The Wire, che le dedica una lunga intervista e un approfondito excursus sulla sua frastagliata discografia.

Anche noi, in attesa del suo primo tour italiano in primavera, ci siamo fatti raccontare la sua storia.

Puoi raccontarci come ti sei avvicinata alla musica? Quali sono stati i tuoi primi ricordi legati al mondo musicale? 

Linda Smith: “Ho iniziato a suonare quando ho scoperto il punk e il post-punk. Era un momento davvero elettrizzante per il rock e il pop, un po’ come la musica con cui sono cresciuta ascoltando la radio AM negli anni ’60. Mi hanno ispirata tantissimo artisti come Patti Smith, The Raincoats e Young Marble Giants. In quel periodo andavo spesso nei negozi di dischi della mia città, praticamente ogni settimana, sempre alla ricerca di nuovi suoni da scoprire”.

Come descriveresti l’ambiente musicale di Baltimora negli anni ‘80? In che modo la scena DIY locale ha influenzato il tuo approccio artistico? Che tipo di musica ascoltavi da ragazzina?

La scena che conoscevo all’epoca era piuttosto piccola e ruotava principalmente attorno a band rock e punk. Il locale di riferimento in città era il Marble Bar, che si trovava nel seminterrato di un vecchio hotel nel centro di Baltimora. Lì suonavano anche band da fuori, come i Bush Tetras,  Psychedelic Furs e John Cale. Era un po’ la nostra versione del CBGB.

La cultura DIY locale mescolava tanti elementi diversi. C’erano persone che studiavano al Maryland Institute College of Art e che oltre a suonare facevano anche arte.

In giro per la città si organizzavano eventi dove la gente si esibiva, proiettava film o leggeva poesie. Venendo dalla periferia, per me era tutto super stimolante e divertente. Sembrava che si potesse fare qualsiasi cosa, senza paura di essere giudicati.

Da bambina e fino ai 15 anni ascoltavo ogni giorno i successi pop e rock alla radio. Ma con la fine degli anni ’60 ho perso interesse e mi sono avvicinata alle sinfonie e all’opera. Il pop dei primi anni ’70 non aveva più quella magia per me: i Beatles si erano sciolti, l’epoca d’oro sembrava finita. Almeno fino a quando, per puro caso, una sera del 1975 ho visto Patti Smith in TV… e lì è cambiato tutto”.

Da Baltimora a New York: come hai vissuto l’esperienza con i The Woods, la tua band del periodo newyorkese? Ci sono momenti particolari che ricordi legati a concerti al CBGB o al Pyramid Club? Qual’è stata la ragione per cui la band, quantomeno da un punto di vista del successo anche indipendente, non ha funzionato del tutto?

Essere in una band a New York era elettrizzante. Rispetto a Baltimora, sembrava esserci più spazio per opportunità e possibilità. Per un po’ abbiamo provato ogni settimana in una piccola sala gestita da Cynthia Sley dei Bush Tetras, nell’East Village. Abbiamo avuto la possibilità di registrare le nostre canzoni e di far uscire un singolo che è stato recensito sul Village Voice. Anche se non suonavamo spesso dal vivo, abbiamo fatto qualche concerto in alcuni dei club più noti dell’epoca. Però non siamo mai riusciti a sentirci davvero a nostro agio con le esibizioni live. Non avevamo un manager e mancavano i contatti giusti per trovare date, a meno che non fosse un’altra band a coinvolgerci. Con il tempo mi sono appassionata sempre di più al processo di registrazione e proprio a New York ho comprato il mio primo registratore a quattro tracce su cassetta”.

Sei considerata una pioniera delle registrazioni casalinghe. Qual è stata la principale motivazione che ti ha spinta ad adottare questa modalità di produzione all’epoca?

“Ho amato fin da subito il registratore a quattro tracce su cassetta per la sua semplicità d’uso e per i suoi limiti integrati. Non avevo bisogno di nessun altro per scrivere e registrare una canzone: potevo fare tutto da sola. Mi ha spinto a ripensare completamente il modo di scrivere musica. Non sentivo più la necessità di suonare dal vivo per far ascoltare le mie canzoni ad altre persone. Bastava copiarle su un’altra cassetta e spedirle per posta. Per me è stato qualcosa di rivoluzionario”.

Ad un certo punto il tuo processo di registrazione si è evoluto passando dal registratore a 4 piste al Fostex R8? In che modo questa transizione ha cambiato il tuo modo di fare musica?

“Il registratore a 8 tracce a bobina offriva una qualità del suono superiore e più tracce disponibili rispetto al 4-track. Ogni strumento o voce poteva avere la sua traccia dedicata, senza dover comprimere più elementi su un’unica traccia per liberare spazio sul nastro. Questo mi permetteva di stratificare chitarre e tastiere con maggiore facilità, ottenendo un suono più ricco e corposo, se lo desideravo”.

Se pensi alle difficoltà che hai avuto nel mettere in piedi un setup di registrazione, anche solo su un semplice 4 piste, e vedi adesso come con un semplicissimo software come Audacity si possano ottenere risultati un tempo nemmeno immaginabili, che tipo di sensazione hai al riguardo?

“Audacity per me è un ottimo strumento di registrazione perché assomiglia molto al registrare su nastro. Ha un’interfaccia semplice, senza troppi menu, plug-in o funzioni complicate come nei veri e propri DAW. Pro Tools e Ableton, ad esempio, li trovo confusi e frustranti. La cosa che mi piace di più della registrazione su computer è la possibilità di tagliare, copiare e incollare le tracce con facilità. A questo punto, devo dire che preferisco di gran lunga questo metodo rispetto a stare lì a riavvolgere e mandare avanti il nastro”.

I testi di I So Liked Spring sono tratti dal lavoro della poetessa Charlotte Mew. Come scegli i testi o i temi da esplorare nei tuoi lavori? Cosa ti affascina della poesia e come la integri nel tuo processo creativo?

“Quando cerco una poesia da mettere in musica, mi concentro su testi brevi e su un certo tipo di ritmo nelle parole. Charlotte Mew ha scritto sia poesie lunghe che corte, e quelle più brevi sembravano quasi nate per essere cantate. Appena le ho lette con la chitarra in mano, la musica è venuta fuori in modo naturale. Più tardi ho trovato la stessa ispirazione nelle poesie di Louise Bogan. Spero di poter esplorare ancora di più questo connubio tra poesia e musica in futuro”.

Dal 2001 al 2018 hai fatto una lunga pausa dalle pubblicazioni ufficiali. Durante quel periodo, hai continuato a creare musica o avevi completamente accantonato l’attività artistica?

“In quegli anni non ho scritto né registrato canzoni. Ho ripreso a studiare arte all’università, sentivo semplicemente il bisogno di esplorare un altro tipo di espressione creativa. Era un modo di pensare completamente diverso e mi piaceva la sfida. Non ho mai pensato di abbandonare la musica per sempre, era più un’esplorazione di un’altra forma d’arte. Per un breve periodo ho anche suonato in una band dove si improvvisava con alcuni amici, ma la mia attenzione era tutta sulla pittura. Probabilmente il mio cervello non riusciva a gestire due approcci creativi così diversi contemporaneamente”.

Il tuo brano I So Liked Spring è stato riscoperto grazie alla serie tv Forever. Come hai reagito a questa nuova attenzione verso la tua musica dopo tanti anni?

“Mi ha fatto piacere sapere che così tante persone volevano ascoltarla, molte più di quante l’avessero sentita all’epoca. In particolare, mi ha colpito il fatto che abbia raggiunto un pubblico molto più giovane, che non aveva mai avuto modo di scoprirla quando è uscita. Ancora oggi mi sorprende l’attenzione che ha ricevuto”.

La collaborazione con Captured Tracks ha portato alla ristampa di molti tuoi lavori. Come è nata questa partnership? Come ti senti nel vedere le tue opere su vinile?

Nel 2014, una piccola etichetta di cassette chiamata Juniper Tree ha pubblicato una compilation dei miei brani. Il fondatore, Matthew Gray, pensava che quelle canzoni meritassero di essere conosciute da un pubblico più ampio, così ha contattato alcune etichette indie per me. Captured Tracks si è mostrata interessata, insieme ad altre. Da lì è iniziata la pianificazione della prima ristampa, Till Another Time.

Il tuo songwriting è spesso descritto come minimalista e puro. Quali sono gli elementi essenziali che cerchi di catturare?

“Per me, tutto ruota attorno a una melodia memorabile. Le mie scelte di accordi sono piuttosto semplici e dirette; la cosa più importante è quali note ci stanno sopra. Inoltre, mi piacciono i testi con un tono colloquiale, che abbiano anche un leggero distacco ironico”.

Guardando al passato e al presente, c’è un progetto o un periodo della tua carriera di cui ti senti particolarmente orgogliosa? E c’è qualcosa che vorresti ancora esplorare musicalmente in futuro?

“In realtà non ho mai pensato a quello che facevo come a una carriera, ma sono più soddisfatta delle canzoni che ho registrato con il mio Fostex 8 tracce, in particolare I So Liked Spring. Mi sembra il progetto più coerente e compiuto che abbia mai realizzato fino ad ora.

Mi piacerebbe provare a registrare una batteria acustica per un brano, prima o poi. Finora ho sempre utilizzato drum machine e percussioni a causa dei limiti di spazio e di rumore in casa. Inoltre, sono interessata a sperimentare la scrittura di brani attraverso tastiere e generatori di accordi elettronici. Questo approccio offre una prospettiva diversa rispetto alla composizione con la chitarra e apre nuove possibilità espressive”.

Il fatto di andare in tour è un po’ una novità per te. Come mai ti esibivi solo saltuariamente negli anni ‘90 e che rapporto hai con il palcoscenico in questi giorni? Che tipo di concerto effettui, solo acustico o utilizzi anche delle basi?

A pensarci bene, credo che all’epoca non ci fosse abbastanza interesse per la mia musica da giustificare concerti frequenti. Inoltre, ho sempre avuto lavori a tempo pieno che mi lasciavano poco spazio per provare, esibirmi e viaggiare. E quel poco tempo libero che avevo preferivo usarlo per scrivere e registrare canzoni. Un po’ come con The Woods, non ho mai suonato dal vivo abbastanza da sentirmi davvero a mio agio sul palco. 

Non utilizzo basi preregistrate, ma ho avuto la fortuna di trovare nuovi amici con cui suonare dal vivo. In primavera, per il tour in Italia, sarò accompagnata da Paul Krolian e Britta Leijonflycht, mentre in giugno, per il tour nel nord-est degli Stati Uniti insieme ai Cindy di San Francisco, si unirà anche Blake Douglas. Con il tempo, ho imparato ad apprezzare la dimensione live della musica: la risposta del pubblico è immediata e autentica”.

Hai scritto del nuovo materiale? Pensi che pubblicherai un disco di canzoni completamente nuove? 

Nel 2021, Almost Halloween Time Records ha pubblicato un album di brani strumentali senza titolo che avevo registrato nel 2020. Inoltre, ho scritto e registrato una serie di canzoni insieme alla mia amica Nancy Andrews, raccolte nell’album A Passing Cloud, uscito nel 2023 per Grapefruit (l’etichetta di Simon Joyner) e Gertrude Records. Sempre con Nancy, abbiamo fatto un breve tour nel Regno Unito lo scorso anno.

Nell’ultimo periodo mi sono concentrata soprattutto sul recupero e l’esecuzione live delle mie vecchie canzoni, ma ultimamente stanno emergendo nuove idee. Spero di pubblicare una o due canzoni su Bandcamp nei prossimi mesi”.

Cesare Lorenzi


Tour Italiano 2025:

2 maggio – Circolo Arci Progresso Firenze

3 maggio – Cantine Polvanera –  Gioa del Colle (BA)

6 maggio – Filla – Bologna

8 maggio – Fanfulla – Roma


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