Ex Hex
Ex Hex

Non ce lo chiede nessuno. Ma talvolta ci si crea un’immagine pubblica nonostante non si abbia un pubblico a cui fare riferimento. Si lavora d’immaginazione, o quantomeno lo faccio io. Si crea un territorio a metà strada tra realtà ed immaginazione, dove i fatti realmente accaduti si confondono con quelli che avremmo desiderato accadessero davvero. Musicalmente sono nato dopo il 1977. L’ho sempre pensato. E in effetti la maggioranza dei miei ascolti di una vita si sono concentrati in quel periodo. Il punk, la new-wave e tutto quello che è venuto dopo. Quella è la mia musica, quello è il mio mondo di riferimento. Per me sono arrivati prima i Joy Division e gli Smiths che non Dylan e Neil Young, per dire.
In realtà i confini non sono così definiti. A pensarci bene il primissimo concerto a cui ho assistito è stato Frank Zappa, trascinato da una fidanzata che aveva quattro anni più di me e il mito della California (non che centri qualcosa con Zappa, ma insomma ci siamo capiti). Ancor prima di Pino Daniele, che è stato il secondo.
Come tutti gli adolescenti della terra ho frequentato alcune discoteche, una in particolare.
Per arrivarci dovevi abbandonare la gardesana, appena fuori da Lazise. Arrivando da nord giravi a sinistra, una piccola stradina che a un certo punto diventava sterrata, immersa tra i vigneti e gli olivi del garda. L’insegna del Cosmic, modesta e circondata da piccole stelle, faceva bella vista, sopra il tunnel d’ingresso. Era un posto leggendario e vederlo per la prima volta dal vivo ti lasciava con la sorpresa delle sue dimensioni, relativamente ridotte, senza posti a sedere. Me lo immaginavo come il posto più grande e figo dell’universo, a sentire i racconti. Per ritrovarmi infine in aperta campagna e chiedermi se qualcuno non avesse esagerato con gli aggettivi. Invece bastavano poche ore per comprendere che, no, il Cosmic non era un posto come un altro.
Per la musica, intanto. Un insieme di sonorità differenti, dal funk, all’afro, la musica etnica, in particolare africana. A cui si aggiungeva un pizzico di avanguardia elettronica, new wave ed un utilizzo creativo dei livelli di equalizzazione. Era musica che passava di mano in mano su cassette che i DJ vendevano alle serate e che da qualche tempo sono state oggetto di riscoperta, sopratutto all’estero.
Con il solito provincialismo che ci contraddistingue non abbiamo saputo valutare immediatamente un fenomeno che musicalmente invece fosse capitato a Londra o New York sarebbe stato salutato in un altro modo. La galanteria dell’orologio che scorre mette le cose a posto, come al solito. Oppure rimedia un articolo del Guardian, più prosaicamente.
La stagione del Cosmic è stata inevitabilmente breve. Il successo del locale andava di pari passo con l’insofferenza delle amministrazioni e della comunità locale. L’esperienza Cosmic era un pacchetto di musica alternativa (per davvero), droghe di tutti i tipi e probabilmente l’ultimo rimasticamento della cultura hippy degli anni sessanta.
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Aver vissuto in prima persona quel luogo ha lasciato tracce nel mio DNA musicale, alla faccia del punk, della new wave e di quello che mi piace credere. Me ne sono accorto ascoltando i Tinariwen o, più recentemente, l’album dei Goat. Musica che al Cosmic ci sarebbe stata benissimo in un modo o nell’altro e che in quei luoghi mi ha riportato.
Tutto questo per dire che ad un certo punto sarebbe bene venire a patti con il nostro passato, con il presente e, perché no, anche con quello che si presume possa essere il futuro.
D’ora in avanti è probabile che i miei amici di Sniffin’Glucose capiranno meglio certi slanci e certe mie uscite per gruppi e dischi lontani dalle nostre orbite usuali: è quello stralcio di vita vissuta con l’innocenza che compete alla giovinezza che torna saltuariamente a galla. Giornate passate senza nessuna preoccupazione di cosa mangiare, dove dormire, come tornare a casa. Con il ritmo della musica del Cosmic nelle orecchie e anche nel cuore. Hai voglia a dire il punk, la new wave e il sapore amaro della vita vera.

Jim Sullivan – Highways

Ho scoperto Jim Sullivan ascoltando la radio. Il programma di Jonathan Clancy, per la precisione. Una scaletta di piccole gemme, di dischi minori, di culti che resistono allo scorrere del tempo. (questo il link della pagina fb della trasmissione, per chi fosse interessato).
Jim Sullivan, dicevamo. Storia incredibile, la sua. Scomparso nel deserto del New Mexico senza lasciare traccia. Caso ancora irrisolto anche per la polizia locale. Si parla di un fatto di cronaca del 1975. Appena qualche hanno prima pubblicava U.F.O. album di debutto semplicemente fantastico. Rock americano con elementi di country e folk arrangiato in maniera sublime. Quello che in seguito si sarebbe evoluto fino a trasformarsi in un genere vero e proprio, “americana”, per l’appunto. Un gioiello di disco che mi ha stregato in maniera definitiva.

Ex Hex – Don’t Wanna Lose

Rock ignorante, suonato come se non ci fosse un domani, con lo spirito di chi ha intenzione solo di divertirsi. A metà strada tra le Runaways e il miglior rock stradaiolo della fine anni settanta. Non una novellina Mary Timony ma una vera e propria veterana della scena: un passato negli Helium e più recentemente nelle Wild Flag di Carrie Brownstein. Qui, come si diceva, viene fuori un attitudine di puro spirito rock’n roll, revivalistico fin che si vuole ma capace comunque di trovare un suo perché. Musica da suonare a tutto volume in macchina, d’estate possibilmente, con il finestrino abbassato. Senza preoccuparsi del grado di tamarragine che inevitabilmente tenderà a raggiungere i livelli massimi.

Sun Kil Moon – War On Drugs Can Suck My Cock

Eravamo sul palco e ho sentito un classico giro di batteria
Era più di 100 decibel, arrivava dall’altra parte della collina
Si stava facendo piuttosto alto, ho chiesto chi fossero
E un tizio con un k-way mi ha risposto, “Sono i War On Drugs”.
Sembrava rock basilare, alla John Fogerty,
E ho detto “La prossima canzone si chiama ‘I War On Drugs possono succhiarmi il cazzo.’”
Succhiatemi il cazzo, War On Drugs.
Stavamo suonando a Chapel Hill
Per un branco di paesanotti ubriachi e c’era puzza di cibo per maiali.
I microfoni non funzionavano, allo staff non fregava un cazzo,
Il pubblico si stava facendo fuori controllo e gli ho detto di stare zitti, cazzo.
Tutti voi redneck, state zitti, cazzo.
Qualcuno si è offeso e ha scritto una stronzata,
Una sorta di blogger teppistella, puttana, ricca e viziata
E ha postato dei graffiti lasciati da un qualche ritardato
Pensava che il mio vero nome fosse Sun Kil Moon, che testa di cazzo
Ho incontrato i War On Drugs stasera e sono piuttosto gentili
Ma i loro capelli sono lunghi e unti, spero non abbiano i pidocchi.
Li ho ascoltati fare il soundcheck e, assieme ai Byrds,
sono decisamente la band più bianca che abbia mai ascoltato.
La band più bianca che abbia mai ascoltato sono i War On Drugs.
C’è qualcos’altro!
Stasera suoneranno al Fillmore e hanno fatto soldout,
Anche i tamarri sono persone, e questa è la loro grande serata.
Hanno fumato una canna coi loro amici mentre arrivavano in macchina,
Stasera faranno rock ascoltando un po’ di chitarra solista da pubblicità.
Ai tamarri piace ascoltare i War On Drugs
War On Drugs, succhiatemi il cazzo / War On Drugs, rock da pubblicità di birra
Ai War On Drugs piacciono i Fleetwood Mac
Ai War On Drugs piace John Mellencamp
Facciamo un urlo per i War On Drugs
Ai War On Drugs ci sono voluti nove cazzo di anni per fare tre album.
Mark Kozelek è da prendere così, poche storie. La tizia dei Perfect Pussy gli ha scritto una letterina che con qualche buona ragione mette in risalto tutta la sua stronzaggine, dopo aver sentito questo pezzo. Ma non cambia di una virgola l’opinione che abbiamo della sua musica, sinceramente.
Limitiamoci a pochi semplici fatti: i War on Drugs fanno cagare. Benji, il disco di Kozalek firmato Sun Kil Moon è un capolavoro. Kozalek ODIA il cerimoniale dell’indie rock e appena può tira bastonate. Spesso a casaccio mettendo nel mezzo anche chi non lo meriterebbe.
Io ascolto questa canzone, me la rido sotto i baffi e mi viene voglia di aprirmi una birra.
Bella la vita, talvolta.
(Ah, grazie ai ragazzi di Rumore. Qualcuno da quelle parti si è preso la briga di tradurre il brano. Io ho solo copiato.)

Useless Eaters – Out In The Night

Per la serie: l’immancabile angolino di “damaged rock” del lunedì è il turno di Useless Eaters. La band di Seth Sutton sembra aver trovato temporanea dimora a San Francisco. Niente di meglio che cogliere l’occasione e registrare un album per la Castle Face Records. Disco di urgenze primordiali, di garage scassato ed attitudine punk. Una piccola bomba, insomma.

Tomorrows Tulips – Glued To You

Questa è gente che ha il mito dei Television Personalities, nonostante viva in California e pubblichi dischi per la Burger Records. Gente che ha ascoltato troppi dischi dei Velvet Underground. Per dire che questo è un album di fragilità ed insicurezze, in bilico tra melodie pop esagerate, feedback gentile, brevi dissonanze e malinconie assortite. Il genere di disco che sinceramente adoro. Questa Glued To You in particolare sembra una versione edulcorata dei primi Jesus and Mary Chain al confine con una psichedelia appena accennata.

Cesare Lorenzi


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