Le cose che nascono belle se hanno occasione di protrarsi nel tempo presto o tardi arrivano a un punto in cui non sono più tanto belle. Quasi tutte. Mi sovvengono poche situazioni che nel dilatare la propria durata mantengono inalterati fascino e  attrattiva.
Può darsi che sia  un concetto ovvio ma la mia attenzione, per una serie di motivi, lo mette a fuoco in maniera chiara e netta solo in questi giorni. Perciò ne scrivo, per fare mente locale ma soprattutto per provare a convincermi di essere in errore. Perché la faccenda è una beffa non di poco conto, come tante altre circostanze della vita del resto. Tipo il fatto che i cibi più gustosi siano quelli che in genere nuocciono maggiormente alla salute o che la quantità di alcol necessaria per affrontare con l’adeguata euforia o l’altrettanto appropriato stordimento gioie e dolori di giornata sia quella che sarebbe capace di non farci arrivare nemmeno in fondo a quella stessa giornata.

Widowspeak “Dog” da Expect the Best in uscita per Captured Tracks il 25 di agosto.

Tornando al deterioramento della bellezza esercitato dall’avanzare del tempo, mi viene in mente qualche caso pratico che coinvolge situazioni quotidiane di impatto piuttosto rilevante.
I rapporti di coppia, ad esempio.
Quando mi capitano di fronte due persone che dopo anni affermano di essere ancora affiatate e in sintonia come all’epoca dei primi baci appassionati provo un’ irritazione proporzionale alla certezza che l’armonia dichiarata sia la conseguenza di menzogne e inganni, ancorché spesso spacciati in buona fede in quanto perpetrati con se stessi prima che con gli altri e dunque frutto di un – più o meno volontario – auto convincimento. In rarissime circostanze, autenticate da un rapporto pluriennale di confidenza e fiducia con i protagonisti che ne certifichi l’effettiva sincerità, l’impulso suscitato è quello di pura e sana, per quanto stupefatta, invidia. In ogni caso queste singolari situazioni le vado a rubricare, con una certa dose di sufficienza, nella casistica delle classiche eccezioni che confermano l’altrettanto classica regola.

Wet Lips “Here If You Need” da Wet Lips, disco d’esordio uscito per Hysterical Records il 9 giugno.

Omettendo la disamina delle situazioni lavorative, altra realtà che gioco forza si perpetra negli anni condizionandoci la vita ma a cui è fin troppo facile applicare la regola che vede corrispondenza inversa tra soddisfazione e durata, la situazione per quanto mi riguarda non cambia ruotando l’angolo di osservazione sull’atavico core business delle mie giornate: la musica. Per quanto sia difficile compilare graduatorie e mettere in fila i miei gruppi prediletti non credo di far torto a nessuno di loro se affermo che i miei favoriti siano quelli che sono durati poco, coloro i quali non hanno permesso all’entusiasmo di tramutarsi in delusione attraverso la pratica della consuetudine. I Clash sono esistiti il tempo di registrare sei dischi, i Pavement cinque, uno in più di Velvet Underground e Smiths. Aggiungiamo i tre album degli Stooges e chiudiamo il conto. Certo, tra qualche basso e molti alti ci stanno anche i quasi 30 di Bowie e Stones, regole ed eccezioni appunto.

Pega Monstro “O Miguel da Casa de Cima in uscita per Upset! the Rhythm.

Ancora : non sono mai stato d’accordo, con quelli che in ogni epoca e a ogni latitudine sono soliti lagnarsi per il minutaggio dei live. Sessanta minuti di concerto per me sono sempre stati abbastanza. Mi inorridisce la frase hanno suonato solo un’ora e mezza pronunciata alla fine di un qualunque concerto. C’è chi addirittura arriva a lamentarsi di uno stop alla soglia delle due ore, gente che in tutta evidenza  sta sempre a rota di Bruce Springsteen e disprezza il dono della sintesi quanto io sdegno il vizio della prolissità.
Stesso discorso potrei applicarlo a struttura e durata delle canzoni. Con l’aforisma loureediano “one chord is fine, two chords are pushing it, three chords and you’re into jazz” fodererei le tombe di quelli che per esprimersi con una canzone ritengono saggio impiegare oltre tre minuti e mezzo, mentre catalogherei alla voce noia mortale qualunque disco che per essere recensito costringa chi lo fa ad utilizzare una frase contenente elogi ai suoi arrangiamenti.

Young Guv “Traumatic 7″ in uscita per Slumberland.

Detto questo sono cosciente di essere nel torto e di avere una concezione settaria e manichea riguardo molte, moltissime questioni. Della compatibilità tra coppie, della musica, del lavoro, probabilmente della vita tutta. Mi rendo conto di attuare semplificazioni e forzature per giustificare la stesura di un pugno di inutili righe la cui redazione è in fin dei conti solo un esercizio di scrittura senza alcun valore teorico né tanto meno velleità probatorie.
Non di meno resta il fatto che stante questa visione, posso affermare che io la mia occasione l’ho persa.
Ho fatto durare tutto troppo e ora è tardi per smettere.
Ora che le cose hanno perduto gran parte del loro sapore e anziché schiantarsi con una picchiata secca e fragorosa sul cemento si sono lentamente avvitate su se stesse planando con studiata indolenza sullo sconfinato e comodo prato della routine.
Ora che le mie cose sono  tutte in modalità too late too die young e, in generale, non sono più tanto belle.
O forse no, magari loro sono ancora belle.
Solo che non mi diverte più farle.
E probabilmente è anche peggio.

Pale Lips “(You Make Me) Wanna Be Bad da Wanna Be Bad uscito per Waterslide Records.

Arturo Compagnoni


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