Ecco cos’era il Glam Rock. Per me, quantomeno: un eccentrico album di figurine. Bislacco slime fosforescente e appiccicoso, pieno di riferimenti trasversali che – allora – potevo solo accorpare in maniera approssimativa, ricreandomi fattezze ed essenze tramite l’immaginazione.
Avevo 9 anni nel 1974. Sebbene grande abbastanza per fibrillare in prossimità dei Campionati Mondiali di Germania, conservavo ancora impresse nelle retine le immagini dei telegiornali con le cronache dei Giochi Olimpici di due anni prima. Oltre a Novella Calligaris, Mark Spitz, Olga Korbut e Valerij Borzov ‘Settembre Nero’ mi sembrava un nome esemplare per l’orco cattivo di una favola da prima serata. Tipo ‘Belfagor’. Poco altro.
I 45 giri li sbirciavo dalle vetrine del negozio di elettrodomestici. Non avevo alternative. Il titolare, tra una riparazione e l’altra, vendeva televisori, aspirapolvere, radio a transistor e vinili, completamente ignaro del contenuto di quei solchi. Le evocative copertine erano l’unica immagine colorata di uno sputo geografico sull’orlo della guerra civile ideologica per i referendum sull’aborto e il divorzio. In tutto questo, per forza di cose, il glam rock era l’ultimo rifugio della nostra povera (mia e di un paio di amici) parrocchiale esistenza dalle ginocchia sbucciate.
Glam: seducente. Mai nome fu più indicato e pregno per un genere musicale (ok, no: Soul è meglio) ed è per questo che parecchi fecero carte false pur di esserne ammessi, persino snaturandosi. Lustrini e musica pop, che altro desiderare per evadere dalla bieca realtà? Erano le cose più eccitanti che conoscessi, oltre agli Avengers, all’ombelico della Carrà visto a ‘Canzonissima’, alla pubblicità della Vecchia Romagna in prossimità del Natale e ‘Chirpy Chirpy Cheep Cheep’ cantata – storpiando il testo – mentre ci si dondolava sulle altalene della scuola.
Seducente, si diceva. E dunque una boccata di vita in tempi di austerity, lungo quelle domeniche pomeriggio di nebbia e strade deserte ove si poteva addirittura pattinare lungo la provinciale. Roulette russa senza pallottole ma con ruote dissestate dal grezzo asfalto. La Russia, già. Anzi: Unione Sovietica. Unione. Qualcosa che, lo diceva il nome, era ancora saldo. Mica come Stati Uniti. ‘Stati’, ovvero ‘una volta’. Sorta di passato prossimo geografico. La finale di basket dei Giochi Olimpici 1972 era lì a dimostrarlo.
La Democrazia Cristiana – austerity o no – nel circondario prendeva il 90% dei voti, da sempre. Era la Juventus dell’arco costituzionale. Non potevamo stare a guardare per un semplice motivo: odiavamo i vincenti. Per solidarietà, visto che non lo eravamo noi. Ci pareva di assistere alla ‘Guerra dei Mondi’. Oratorio Vs The World. Coscienza politica senza manco sapere cosa fosse la politica, noi che ricordavamo vagamente lo Scandalo Lockheed, le corna all’ospedale di Napoli di Antelope Cobbler – ovvero il Presidente Giovanni Leone, poi iterate verso gli studenti l’anno successivo – e poco altro.
Ma sapevamo riconoscere cosa era glam e cosa no, e la D.C. non lo era. La nazionale di calcio olandese sì. Quella tedesca no. I capelli di Johannes Jacobus Neeskens erano l’acconciatura glam per eccellenza. Quelli di Paul Breitner una zozzeria alla Mars Volta. ‘Rumore’ era glammissimo. ‘Svalutation’ pure. I cantautori manco per il piffero. ‘S.H.A.D.O.’, era puro glam, la quintessenza con quei corpicini di lamè, le parrucche (lo scoprimmo anni dopo, la tv era ancora in bianco e nero) viola e il rumore degli UFO in avvicinamento.
Allarme rosso.
La sera di Natale del 1973 gli Sweet partecipano a Top of the Pops, in quel momento sono (assieme ai T.Rex) il gruppo di maggior successo in Inghilterra. Si chiamano Sweet ma – a dispetto del nome e delle tutine attillate – sono degli hooligan mica da ridere, cazzoni fatti e finiti. Gentaglia da bottigliate al pub. Non dei delinquenti proto metal come Alex Harvey (prendete nota: primo eroe di un giovanissimo Nick Cave) o gli Slade ma quasi. Steve Priest (il bassista) si esibisce agghindato da nazista gay, con baffetti alla Führer e svastica al braccio; la volta successiva – sempre in prima serata – sfoggia una mise di paillettes con la scritta ‘Fuck You’; di lì a qualche puntata gli Sparks scatenano un’isteria mai vista dai tempi dei Beatles. Sembrano malevoli angeli alieni e forse lo sono davvero, provenendo da Los Angeles. Ron Mael – seduto al piano elettrico, inquietante e immobile – farà esclamare a un attonito John Lennon ‘Yoko, corri… Vieni a vedere, c’è Adolf Hitler in TV!’ Uno stuolo di ragazzini arrabbiati pronti a incendiare l’Inghilterra entro qualche giro di luna prende scrupolosa nota. Ora, ditemi: tutto questo vi ricorda qualcosa?
Children of the Revolution
L’Inghilterra che esonda negli anni Settanta è un posto sciatto e senza colore. La pop music idem: finiti i fasti di Carnaby Street ora è un lento elefante sporco di carbone che trascina il suo culo stanco e pesante su orgiastiche suites da 22 minuti. Muraglie di tastiere e lunghe saghe (ho scritto saghe) bulimiche di accordi. Yes e Emerson, Lake and Palmer sono la cosa più lontana dall’idea primigenia di rock and roll. Ascoltare la classifica settimanale è – sovente – come provare a ballare con i piedi immersi nel bitume. Il governo del Primo Ministro Heath attua la decimalizzazione della sterlina prima di venire sconfitto dalla Thatcher. I Beatles non esistono più, gli Stones se la spassano in Francia, in esilio. Anzi: ‘Exile’. Del grande impero britannico non rimane più nulla, se non cumuli di immondizia accatastati lungo chilometri di sussidi di disoccupazione e casette tutte uguali. Periferie, disagio, skinhead, risse, crisi energetica, rigurgiti della destra. Le bombe. L’IRA. I Troubles. Macerie.
Un panorama nebbioso sul quale i ragazzi annaspano, non potendo più nemmeno immaginare la ‘Summer of Love’, infrantasi sul Vietnam e l’eroina. Qui entra in scena sculettando Marc Bolan e, soprattutto, un nome ai più sconosciuto che diverrà inconsapevole miccia estetica: Chelita Segunda. Moglie del manager del nostro introduce al glitter tutta la banda durante un pomeriggio casalingo nel quale Bowie, Elton John e Marc stanno cazzeggiando. Chelita spalma per gioco un po’ di quella polvere di stelle sul viso del 20th Century Boy. Bowie dice di volerne un po’, Elton si accoda entusiasta manco fosse coca. La settimana dopo sfoggiano tutti una mise invidiabile e traslucente dall’alto della Top20.
C’è però un esatto istante in cui tutto nasce e divampa, il Big Bang glitteroso. 25 febbraio 1971, i T. Rex presentano ‘Hot Love’ – una sorta di boogie col singhiozzo – a Top of the Pops. Marc Bolan e il suo smisurato ego hanno appena cominciato a capire come vanno le cose, rettificando il tiro. Ha da poco accorciato il nome (e gli accordi: basta folk psichedelico e tolkeniano) ai suoi Tyrannosaurus Rex. L’uomo si presenta con gli occhi bistrati di lustrini. Pare una rivoluzione copernicana e lo è. I ragazzi impazziscono, la vendita di glitter si impenna; di lì a 5 mesi (2 luglio 1971) esce ‘Get it On’, il primo di un filotto di undici singoli – quattro direttamente al numero uno – nella Top Ten inglese. La bomba glam scoppia davvero. Marc Bolan diventa un essere divino in strass. Talmente irraggiungibile che si permette di avere Elton John (uno che, di lì a qualche mese, venderà il 2% dell’intera produzione mondiale di album) al piano mentre si esibisce alla BBC. Bowie, i Queen (e Renato Zero, certo) guardano, furtando movenze, accordi e intuizioni. Su ‘Get It On’ si edifica gran parte del pop inglese a venire. Punto. Il resto è un’onda che travolge tutto, uno tsunami che avrà il picco il 6 luglio 1972, quando il signore che ha scelto il nome d’arte mutuandolo da un coltello presenta ‘Starman’ e mette – in diretta tv – il braccio al collo di un altro Dio, più schivo ma non meno avvezzo ai miracoli: Mick Ronson. È il giorno che cambia la vita a una nazione, metà della quale insorge per quell’ostentato atto ritenuto omosessuale, ma la cui risacca ancora spumeggia sulle scogliere di Dover. Anche in Italia. E se Zero dovrà venire a patti con quel 90% di cui sopra, vi è ben altro che esonda oltre il Vallo di Adriano: i Rubettes ad esempio.
Furono – sebbene brutti come il peccato – i miei Duran Duran, circa. Per quanto i veri Duran Duran del tempo fossero i Bay City Rollers, una delle storie più bieche, delinquenziali e tragiche del pop tutto. ‘Sugar Baby Love’ e ‘Tonight’ mi scuotono le terga anche dopo mezzo secolo. Ma che ne sapevamo noi dei risvolti discografici! Guardavamo i cappelli, le zeppe, le tutine in pelle colorata, le zazzere quasi dickensiane (Noddy Holder degli Slade è un personaggio perfetto per ‘Oliver Twist’), l’ondeggiare beota, i coretti mielosi. Le chitarre basiche, cafone e ignoranti, il martellar di tamburi da giungla esotica e quel brivido pericoloso emanato dal tutto. Era la vera musica pop, quella stradaiola, e ci era concessa per la prima volta. Non sapevamo nulla del rivolo chiamato junkshop glam, delle canzonette ritenute bubblegum, delle grandi truffe a sottendere. A noi bastava ‘Alto Gradimento’, Radio Capodistria con Luciano Minghetti, Lelio Luttazzi che ululava ‘Hiiiit Paraaaaade’. Ecco, in quelle trasmissioni i 45 giri glam rock venivano trasmessi con frequenza giornaliera, ammaliando generazioni di adolescenti. Un orgasmo. Intendiamoci: allora non sapevo cosa fosse un orgasmo, ma – OGGI – posso dire ci andasse appresso di un’inezia.
L’investitura vera e propria mi giunse in quei giorni grazie a delle cassette che il babbo – perspicace, che Iddio o chi per lui l’abbia in gloria – mi regalò tramite un simpatico ricettatore della zona. Un imprinting simile te lo porti appresso tutta la vita. E difatti.
Il portabagagli dell’amorevole trafficone era una vera miniera delle meraviglie, lampada di Aladino da sfregare tra una spuma e un paninetto: abat-jour optical, calcolatrici, orologi, macchine fotografiche. L’uomo aprì il cofano con un sorriso da Pifferaio Magico e io vidi il Bengodi: un ‘Greatest Hits’ di Elton John (dal quale mi sto risollevando proprio in questi giorni); ‘Electric Warrior’ dei T.Rex (ce l’ho ancora); ‘Desolation Boulevard’ degli Sweet (consumata fino a distruggere letteralmente il nastro. ‘The Six Teens’ ha uno degli intro più belli di sempre), ‘Quatro’ di Suzi Quatro. Come facevano le oche di Konrad Lorenz? Ecco, uguale. Da allora e per sempre.
Alla fine gli inglesi quello sanno fare: del buon sano e peloso glam rock. Machista ma femmineo, pacchiano ma stiloso. Furbastro, ladro, spudorato e sbruffone. Riveduto e corretto a ogni tornata di mode. Ma quello, furtato da Little Richard (‘Get Down and Get with It’ degli Slade è pedissequamente Little Richard), Chuck Berry, Stones e tonnellate di misconosciuti singoli che arrivavano con le navi nei porti di Manchester e Liverpool. Adam and the Ants presero tutta la ritmica da Gary Glitter e Cozy Powell; gli Ultravox con il punto esclamativo provengono da lì (Slik e Tiger Lily); i Suede di ‘Dog Man Star’ dal Bowie del 1974; Doctor and the Medics sono degli innocui Wizzard disegnati da Matt Groening; Robbie Williams è un Elton John introdotto al Rat Pack; I Cockney Rebel di ‘Sebastian’ inventano i Virgin Prunes (quelli di ‘Make Me Smile’ il brit pop). I Geordie creano – né più né meno – gli AC/DC; i fantastici Doctors of Madness invece rappresentano una bizzarra immacolata concezione tra glam, progressive e punk. I Denim di Lawrence Hayward un tributo al junkshop glam. Il primo successo acid house inglese è una cover di ‘Children of the Revolution’ di Bolan incisa da Baby Ford. ‘Panic’ degli Smiths è – né più né meno – ‘Metal Guru’ dei T.Rex. I Placebo continuano a saccheggiare a man bassa l’intero scibile. E ancora: i Darkness, Goldfrapp, i King Adora, i Franz Ferdinand, i Pulp,‘Velvet Goldmine’. I recenti e derivativi Walt Disco e Uni & the Urchins. Potremmo continuare per una intera enciclopedia. Per tacer degli altri, quelli di confine (Metro, Tubes, Deaf School). Questi i casi più eclatanti. Poi, invece.
La pletora di ragazzini pronti a transumare punk che in quegli anni si avvicinava alla maggiore età era figlia devota di Bolan, Bowie, Roxy Music, Sparks, Slade. Ne cercarono di nascondere l’organza (e l’arroganza) ma inutilmente. Riaffiorava sempre, gorgogliando: Siouxsie è una Luisa Casati delle periferie, anelante alla copertina del secondo Roxy Music. E poi John Lydon (‘I Bay City Rollers’ sono la mia band preferita’ avrà a dire); Spizz che incide una rilettura anfetaminica di ‘Virginia Plain’ (e nessuno mi toglierà mai l’idea che per ‘Where’s Captain Kirk’ si ispirò a Barry Rolfe). I Roxy Music che fecondano l’intera scena elettronica di Sheffield tramite i synth di Brian Eno (gli Human League rileggeranno ‘Only After Dark’ di Mick Ronson e ‘Rock and Roll’ di Gary Glitter). I Japan degli inizi, plagi glam spudorati e ingenuotti. I Bauhaus che diventano algebra boleana (e bolaniana) tra T.Rex, Eno e i Jane’s Addiction. Metà del Gothic Rock che andrà ad abbeverarsi (chi ha detto Batcave?) Sweet e Slade danno la stura all’heavy metal stradaiolo di Los Angeles. Il riff di ‘Anarchy in the UK’ riecheggia in maniera spettrale ’48 Crash’ di Suzi Quatro.‘Don’t Bring Me Down’ dell’Electric Light Orchestra (una ‘Let’s Stick Together’ piena di fronzoli) è glam all’ennesima potenza. Nel 1973 un giovanissimo Joey Ramone si fa chiamare Jeff Starship e suona con gli Stripes, un gruppo glam. E gli Abba? Beh, loro sono l’Antico Testamento.
Insomma, il Glam Rock è un anello cosmico che bypassa e cortocircuita i concetti di spaziotempo: Vince Taylor è lo sconosciuto rocker che ispira l’intero ‘Ziggy Stardust’; Gli Hot Chocolate, prima di diventare una potenza discomusic, incidono ‘You Could Have Been A Lady’ glitteroso pan di zucchero che verrà ripreso dagli April Wine. A proposito di disco: ‘He’s Gonna Step On You Again’ di John Kongos è Giano Bifronte, avendo il burundi beat che renderà interessanti per un nanosecondo i Bow Wow Wow e lo schiappettamento protodisco. ‘Obladì Obladà’ e ‘I Saw Her Standing There’ sono già inconsapevole glam, e ‘Come Together’ ha il passo cremoso che farà grande Marc Bolan. Lady Gaga è figlia del 1973, gli Associates di ‘Kimono My House’; Klaus Nomi un triangolare Jobriath; ‘2 Hearts’ di Kylie Minogue è un pezzone glitter senza eguali, i Menswear di ‘Stardust’ sono gli Sweet che rileggono ‘Suffragette City’ dopo una ferrea dieta. I Giuda sono seme Slade. E il Romo di DexDexTer e Orlando, chi lo ricorda? E cosa sono stati Sigue Sigue Sputnik e Hanoi Rocks? Mi fermo.
Eppure non fu una storia quintessenzialmente inglese. Sebbene fecondata da Albione, l’intera Europa si assoggettò volentieri, raccogliendo le spore e sviluppando scene autoctone: Germania, Olanda, Francia, Danimarca, Svezia, Australia, Nuova Zelanda (Space Waltz). Persino Islanda (Change, Pelican); Giappone (Sadistic Mika Band, le G.i.r.l.s., Vodka Collins); Argentina (Norah); Yugoslavia (Bijelo Dugme); Brasile (Secos & Molhados. Allucinati e già agghindati come Sex Gang Children e Shox Lumania). Pare altresì impossibile che, sempre in Brasile, personaggi del calibro di Gilberto Gil, Roberto Carlos e Caetano Veloso andassero a collaborare al disco d’esordio di Edy Star, un Renato Zero del Corcovado. Eppure.

Migliaia di 45 giri prendono la via dei negozi ogni settimana. Il Glam Rock è LA cosa. E l’Italia? Senza sparare a ‘zero’ qualcuno ci provò: Marcella ad esempio, con una buona rilettura di ‘Can the Can’ di Suzi Quatro. O La Strana Società, titolare di ‘Vento che soffi’, psycho glam lisergico. E poi Doc & Prohibition, William, Carol and the Boston Garden, Richie Heinen, i Team, Miro. I Children of the Morning (Shel Shapiro), Kero, i Cyan (session men e backing band di Patty Pravo). La Quinta Faccia, banda specializzata in cover dei Rubettes. Persino i Middle of the Road, scozzesi ma italianissimi per progetto e produzione. O Lally Stott.
Nulla però riuscì mai a battere quell’ordigno firmato Lo Vecchio / Ferilli inciso con un parterre de roi comprendente Shel Shapiro, Gigi Cappellotto e Tullio De Piscopo. Sto parlando di ‘Rumore’, e a far l’amore comincia tu, che io vado a riascoltarmela.
Il Glam era, è e rimane una messa contraddittoria: laica ma multireligiosa, sovente blasfema. ‘Eyes Wide Shut’ che si attorciglia su ‘Babylon Berlin’. Il rito del palco portato agli eccessi, la voluta confusione sessuale, i riferimenti trasversali che inglobano Salvador Dalì, Weimar, l’Inghilterra Vittoriana, ‘Arancia Meccanica’ e ‘Happy Days’, Oscar Wilde, il cabaret, i synth futuristici assieme agli organetti Fifties, la Golden Age di Hollywood, ‘Il Fantasma dell’Opera’, il Boogie-Woogie, il Ragtime e fraseggi Honky Tonk. Elvis, Scott Joplin, Buster Keaton e le New York Dolls. E ancora l’ansia del futuro non avendo un presente al quale ancorarsi, la caccia al cosmo e a briciole di stelle (‘Ziggy Stardust’, ‘Starman’, Alvin Stardust, ‘Rocket Man’, ‘Life On Mars’), avanguardia che si rifà al passato. Provocazione e noia, divertimento coatto e parodia. Sesso. Tanto e fluido. Ma davvero, mica in favore di social.
In tutto questo vi sono anche delle etichette dedicate, pronte a capitalizzare. Come la Atlantic fu la casa discografica della black music, la Capitol quella di Frank Sinatra e la Factory del post punk, beh… La Rak in Inghilterra e la Pink Elephant in Olanda (secondo mercato glam mondiale) si dedicarono a predicare il verbo. Soprattutto nel formato 45 giri. Una veloce catena di montaggio per monetizzare il momento. Che nasce e muore così velocemente da rappresentare un coito interrotto. Bastano diciotto mesi e tutto si acquerella in un pastiche indefinibile: Disco, Soul, Teen Pop, Progressive, Funk, Power Pop, Hard Rock, Proto Punk, Space Electronica. Il Glam diventa grande, ma diventano grandi anche i suoi acquirenti, che si rivolgono altrove. Come vi era stato un Big Bang vi è anche il buco nero: quando – nel 1975 – esce ‘The Rocky Horror Picture Show’ è finito tutto. Sdogana il movimento ma è anche la sua pietra tombale, prodromi di punk già stanno lanciando spore. Delle stelle rimane sbiadito pulviscolo.
Ma Marc Bolan e David Bowie che si esibiscono a Top Of The Pops non sono solo intrattenimento e provocazione, è il passepartout di una frattura generazionale, un’idea di libertà, sociologica e sessuale. Il viatico per la coscienza androgina di una fascia di popolazione ai margini. Narcisismo luccicante e rifiuto quasi autistico della disperazione di una nazione – lì e in quel momento – culturalmente ed economicamente allo sbando.
E chissà cosa sarebbe accaduto se la Mini Minor di Marc avesse tenuto la strada e lui si fosse davvero dedicato ai Damned.
E adesso sono qui, alla ricerca del tempo perduto, deciso a non combattere più questa mia natura, sovente vilipesa da soloni pieni di ascolti forgiati su vinili gatefold limited edition 180 grammi. Così negli anni – quasi per riflesso pavloviano – ho accumulato 45 giri (perché era faccenda da 45 giri, meno da album, tolta la solita manciata di nomi essenziali). Mi sono intrippato su Carneadi quali Jobriath, Bilbo Baggins, Alan Lee Shaw, Brett Smiley, gli Hello, Jimmy Jukebox (ovvero Kim Fowley). Sul glam barocco dei Cristopher Milk, di Dorian Zero e di Peter Straker (il Freddie Mercury black). Ho adorato la sexyssima Richenda Antoinette de Winterstein Gillespie detta Dana; scoperto fetecchie assortite (Catapult, Merlin, Granny, Erasmus Chorum) e band incredibili che già tratteggiavano i Devo e la new wave (Zolar X). Ho oltrepassato le Colonne d’Ercole del buon gusto (Middle of the Road, David Essex, Alvin Stardust) e avuto qualche sorpresa. Tipo Yoko Ono che ci prova, a modo suo. O Giorgio Moroder post Chicory Tip con gli Spinach e poi nell’estemporanea collaborazione con Pete Bellotte per il progetto Tracey Dean, giusto pochi mesi prima che i due si dedichino a Donna Summer. Un Larry Lurex che è scorribanda solista di Freddie Mercury. O Sylvester pre ‘You Make Me Feel’ che pubblica un album funk glam nel 1973. O ancora Ricky Wilde (figlio di Marty e fratello di Kim) che a 11 anni incide ‘I Am An Astronaut’ singolo di straniante glam puberale; i Tartan Horde di Nick Lowe e Dib Cochran and the Earwigs, supergruppo composto da Toni Visconti, Marc Bolan e Rick Wakeman. Ho scoperto che nei Bijelo Dugme militava un giovanissimo Goran Bregovic. Che i The Arnold Corns erano Bowie e gli Spiders From Mars in un primo tentativo di successo glam.
No One Is Innocent.
E poi le canzoni, certo. I dimenticati, la sventagliata di meteore, i proletari, i disagiati (Alasdair Riddell, William Shakespeare, Roderick Falconer). E ancora: rissosi skinhead, canzonette da sigle televisive e pub rock, bubblegum pop, metallari ante litteram, incesti disco e inconsapevoli punk indecisi dove situarsi. Tipo i Jook, con un’estetica che verrà letteralmente furtata dai Jam. E poi i Blackfoot Sue; gli Hector; i Chunky (bellissimi e adepti al culto di Bolan, la loro ‘Albatross Baby’ è ‘Spirit in the Sky’ col midollo esposto). Infine i curiosi D’Jurann Jurran, a dimostrazione che nessuno inventa. E se pronunciandolo vi sovviene qualcuno, capirete che lo stagno dove tutti avevano nuotato era lo stesso e che di lì a un lustro i New Romantics si immergeranno nelle stesse acque, lanciandovi sopra polvere di cometa glam, con più Cadonett e meno chitarre.
Oggi conservo il santino di Mick Ronson nel portafoglio assieme a quello di Ulrike Meinhof (lei era glam, Andreas Baader no) e non ho più voglia di combattere. ‘Così continuo a remare, barca contro corrente, risospinto senza posa nel passato’. Che volete farci, sono un ‘Dandy in the Underworld’, ma so che ‘All The Young Dudes’ mi capiranno.
Michele Benetello
Glam Rock e derivati (1967-1977): 301 canzoni di Padri, Figli e Spiriti Santi
Parte 1
Steve Harley & Cockney Rebel – Make Me Smile (Come Up and See Me) (EMI, 1975)
The Sparks – This Town Ain’t Big Enough for Both of Us (Island, 1974)
Slik – The Getaway (Bellaphon, 1975)
Blackfoot Sue – Sing, Don’t Speak (Jam, 1972)
Chunky – Albatross Baby (Orange, 1973)
Barry Blood – Poor Annie (Alaska, 1975)
The Jook – Bish, Bash, Bosh (RCA Victor, 1974)
The Velvet Underground – White Light /White Heat (Verve, 1967)
Arrows – Touch Too Much (RAK, 1974)
Lou Reed – Wagon Wheel (RCA, 1972)
Marmalade – Our House Is Rocking (EMI, 1973)
Crunch – Let’s Do It Again (Young Blood International, 1974)
Hot Rod – Love Is All Right (Hey) (President, 1973)
Zappo – Rock and Roll Crazy (Magnet, 1973)
Tiger Lily – Ain’t Misbehavin’ (Gull, 1975)
Brett Smiley – Va Va Va Voom (Anchor 1974)
Hector – Bye Bye Bad Days (DJM, 1974)
T.Rex – Get It On (Fly 1971)
Bilbo Baggins – Saturday Night (Polydor, 1974)
Booby Trap – The Hooker (Ariola, 1974)
David Bowie – Suffragette City (RCA Victor, 1972)
Sharaton – Caught In The Act (VIP, 1974)
The Stooges – I Wanna Be Your Dog (Elektra, 1969)
Jigsaw – Sky High (Chelsea, 1975)
Tub-Thumper – Kick Out The Jams (Alaska, 1974)
Simon Turner – Sex Appeal (UK Records, 1974)
Pantherman – Panther Walk (Polydor, 1974)
Hello – New York Groove (Bell, 1975)
David Essex – Rock On (CBS, 1973)
Alice Cooper – Eighteen (Warner Bros, 1971)
Jimmy Jukebox – Motor Boat (Chattahoochee Records, 1973)
Doctors of Madness – Out (for Mitzi) (Polydor, 1976)
New York Dolls – Personality Crisis (Mercury, 1973)
Gumbo – The Devils (Fontana, 1974)
Buster – Superstar (Bradley’s Records, 1974)
Heart – Lovemaker (EMI, 1974)
Antilope – Come On Suzy (BASF, 1973)
Bubbles – This Is Where the Hurdie Gurdie Heebie Geebie Greenie Meenie Man Came In (Decca, 1975)
Britania – Right Down The Line (EMI, 1973)
Tartan Horde – Bay City Rollers We Love You (United Artists, 1975)
Mud – Dyna-Mite (Rak, 1973)
Bonnie St. Claire and Unit Gloria – Clap Your Hands and Stamp Your Feet (Philips, 1972)
Showaddywaddy – Rock’N’Roll Lady (Bell, 1974)
Queen – Killer Queen (EMI, 1974)
Brian Eno – Needle in the Camel’s Eye (Island, 1973)
Alvin Stardust – Red Dress (Magnet, 1974)
Middle of the Road – Chirpy Chirpy Cheep Cheep (RCA, 1970)
Suzi Quatro – 48 Crash (RAK, 1973)
Cozy Powell – Dance with the Devil (RAK, 1973)
Barry Blue – Do You Wanna Dance? (Bell, 1973)
Sailor – A Glass of Champagne (Epic, 1975)
Elton John – Saturday Night’s Alright for Fighting (DJM, 1973)
Kenny – The Bump (RAK, 1974)
Todd Rundgren – Wolfman Jack (Bearswille, 1972)
Mott the Hoople – All the Young Dudes (CBS, 1972)
Roxy Music – Do the Strand (Polydor, 1973)
Be-Bop Deluxe – Maid in Heaven (Harvest, 1975)
Dana Gillespie – Andy Warhol (RCA Victor, 1974)
Bromswille Station – I’m the Leader of the Gang (Big Tree, 1974)
Chaos – Down at the Club (Polydor, 1973)
Mick Ronson – Only After Dark (RCA Victor, 1974)
Slade – Mama Weer All Crazee Now (Polydor, 1972)
Jobriath – Earthling (Elektra, 1973)
Raffaella Carrà – Rumore (CGD, 1974)
Sweet – The Ballroom Blitz (RCA Victor, 1973)
Wizzard – See My Baby Jive (Harvest, 1973)
Gary Glitter – I’m the Leader of the Gang (I Am!) (Bell, 1973)
Vicky Fury – Flipper Story (Flamophone, 1975)
Bay City Rollers – I Only Want To Be With You (Bell, 1976)
The Rubettes – Sugar Baby Love (Polydor, 1974)
Geordie – All Because Of You (Popswop, 1973)
Iron Virgin – Rebel Rule (Deram, 1974)
Lulu – The Man Who Sold the World (Polydor, 1974)
Andy Glenmark – Rock It In My Rocket (CBS, 1976)
Sweeney Todd – Roxy Roller (London, 1975)
Zenda Jacks – Rub My Tummy (Magnet, 1974)
Lucille – Get Back On Your Feet (EMI, 1974)
Sadistic Mika Band – Time Machine (Doughnut, 1974)
ABBA – Waterloo (Polar, 1974)
Deaf School – What a Way To End It All (Warner Bros, 1976)
Punchin’ Judy – Settle Down (Transatlantic, 1974)
Muff – Discotheque King (Polydor, 1975)
Fable – Motorbike (Magnet, 1974)
The Rockets – Rock and Roll Drummer (Part 1 & 2) (Philips, 1974)
Lollipops – Rock Around (EMI, 1974)
Rockmore Williams – Lady Rock (Mooncrest, 1973)
Jeremiah – Dance Dance Dance (Vogue, 1974)
Thermostat – Delicatessen Annie (BASF, 1973)
The Sensational Alex Harvey Band – The Faith Healer (Vertigo, 1974)
Barry Rolfe – Beam Me Aboard Mr. Spock (Philips, 1973)
Brian Wells – Paper Party (Spark, 1972)
Alastair Riddell – Wonder Ones (Mandrill, 1977)
Peter D. Kelly – Hard Road (RCA Victor, 1973)
Blue Vamp – Jolly Dolly (Vamp, 1974)
La Strana Società – Vento che soffi (Fonit, 1973)
Scarface – Dance To The Band (DJM, 1975)
William – Gulliver (M2, 1974)
Stumpy – Make Me A Superman (Dawn, 1974)
Carol and the Boston Garden – Suzuki 75 (Voom Voom Music, 1975)
Lemming – Queen Jacula (Polydor, 1974)
Parte 2
Streak – Bang Bang Bullet (Deram, 1973)
Strapps – School Girl Funk (Harvest, 1976)
Shabby Tiger – Slow Down (RCA Victor, 1975)
Rita Lee & Tutti Frutti – Mamae Natureza (Philips, 1974)
Screamer – City Or Bust (Arista, 1975)
David Werner – Whizz Kid (RCA Victor, 1974)
Yellow Bird – Attack Attack (Magnet, 1974)
Whistle – The Party Must Be Over (York, 1973)
The Washington Flyers – Another Sunday Morning (Dawn, 1974)
Walkers – Fire! (Philips, 1973)
Ricky Wilde – I Am An Astronaut (UK Records, 1972)
Snatch – For Always and Ever (Polydor, 1975)
Wig Wam – Naughty Naughty (RCA Victor, 1972)
White Witch – Home Grown Girl (Capricorn, 1973)
Pelican – Jenny Darling (AA, 1974)
Zig Zag Band – Rock & Roll Tonite (Polydor, 1974)
Miro – Carly (Vedette, 1977)
Left Side – Mama Mia (Everytime I See Ye) (Philips, 1974)
Lennart, Messagie & Dagleth – And I Love Her (Pink Elephant, 1973)
Ramma Damma – Ramma Damma (Bellaphon, 1974)
Sakkarin – Sugar, Sugar (RCA Victor, 1971)
Scalliwag – Hazy Lazy Feeling (Bell, 1973)
Peter Straker – Divided (RCA Victor, 1972)
Paul St. John – Flying Saucers Have Landed (Pye, 1972)
Stephen – I Get the Feeling (GM, 1973)
The Sensation – Black Eyed Woman (Sticky, 1973)
Zolar X – Space Age Love (Self Produced, 1974)
Shakane – Love Machine (Young Blood, 1972)
Barry and Garry – Gimme Gimme Your Love (Gypsy Production, 1975)
Team – My Bonnie (Durium, 1974)
Cyan – Misaluba (RCA, 1971)
Linda Beckerman – Joe (Seven Sun, 1974)
The One Hit Wonders – Hey Hey Jump Now (CBS, 1972)
Grumble – Da Doo Ron Ron (RCA Victor, 1973)
Richie Heinen – Gimme Wine (Ariston, 1973)
Harley Quinne – Rock and Roll Is Back Again (Bell, 1973)
Alan Lee Shaw – She Moans (Alaska, 1974)
Spiv – Oh You Beautiful Child (Pye Records, 1973)
William Shakespeare – Can’t Stop Myself From Loving You (Bryan, 1974)
Patches – Telltale (Bradleys, 1975)
The Osmonds – Having A Party (MGM, 1974)
Paul Ryder and the Time Machine – Are You Ready (Penny Farthing, 1974)
Secos & Molhados – Flores Astrais (Continental, 1974)
Paul Ryan – Natural Gas (Maple Annie, 1972)
Cherrie Vangelder-Smith – Silver Boy (Pink Elephant, 1973)
Tiger B. Smith – She’s All Right (Bacillus, 1974)
Vodka Collins – Automatic Pilot (Express, 1973)
Les Variations – Silver Girl (Pathé, 1973)
The Tubes – Malaguena Selerosa (A&M, 1975)
Hans Van Emert – Because of the Cats (Philips, 1973)
John Rossall – I Was Only Dreaming (Bell, 1975)
Zingara – Girls Girls Girls (Pink Elephant, 1973)
Thundermug – Africa (Axe, 1972)
Thieves – Ali Baba (RAK, 1973)
Taste – Boys Will Be Boys (Bootleg, 1976)
Space Waltz – Fraulein Love (EMI, 1975)
Rock Rebellion – Let’s Go (Santa Ponsa, 1973)
Plastic Feet – Big Blond Baby (Bellaphon, 1974)
Propeller – Apache Woman (Philips, 1971)
Papoose – Le Roi Soleil (Mercury, 1973)
Union Joke – Bus Rider (A. Decap-Sound, 1973)
Sisters – Kick Your Boots Off (Bell, 1973)
Paul Kendrick – Teenage Smash (A&M, 1974)
Small Wonder – Ordinary Boy (Dawn, 1975)
Tears – Duke Of Friday (Gazell, 1974)
Change – Lazy London Lady (Orange, 1974)
Slack Alice – Put Me On the Railroad (Philips, 1974)
Skyband – Bang! Ooh! Ya Got Me! (RCA Victor, 1975)
Bunk Dogger – Red Alert (UK Records, 1974)
Crackers – Judy, Judy, Judy (EMI, 1975)
Sherbet – So Glad You’re Mine (Infinity, 1974)
Beano – Candy Baby (Deram, 1974)
Silverhead – Ace Supreme (Purple, 1972)
Anthony Bygraves – Painted Lady (Pye, 1974)
Oscar – Twilight Asylum (DJM, 1977)
Larry Lurex – I Can Hear Music (EMI, 1973)
The Heavy Dwarfs – Moeder Natuur (Bank U Well, 1973)
Grudge – When Christine Comes Around (Black Label, 1973)
Made In Brazil – Anjo Da Guarda (RCA Victor, 1974)
Neil Merryweather – Hollywood Boulevard (Mercury, 1974)
Dib Cochran and the Earwigs – Oh Baby (Bell, 1970)
Spunky Spider – You Won’t Come (Phoenix, 1973)
18 Karat Gold – If My Guru Would Know (United Artists, 1973)
Bunk Dogger – Red Alert (UK Records, 1974)
Edy Star – Claustrofobia (Som Livre, 1974)
Bullfrog – Glancy (Cube, 1974)
A Raincoat – Nostalgia 75 (EMI, 1975)
Burning – Like A Shot (Movieplay, 1975)
The Sunshine Kid – My Linda (RCA, 1973)
Ice Cream – Shout It Out (Fontana, 1974)
Hot Rocks – Chopper (Bell, 1973)
Cool Bananas – Been And Gone (And Come Back Again) (Albert, 1973)
The Arnold Corns – Moonage Daydream (B&C, 1971)
Hush – C’mon We’re Taking Over (Wizard, 1974)
The Hello People – Future Shock (Dunhill, 1974)
Ave Sangria – Très Margaridas (Continental, 1974)
Fynnius Fogg – Roller Skatin’ Baby (Dawn, 1975)
Ayshea – Farewell (Harvest, 1973)
Bearded Lady – Rock Star (Young Blood International, 1975)
Big Carrot – Blackjack (EMI, 1973)
Parte 3
The Biggles – Paula (Ariola, 1973)
Nick Gilder – Roxy Roller (Chrysalis, 1976)
Granny – Honey Honey (Ariola, 1973)
Edwina Biglet and the Miglets – Vanessa’s Luminous Dog Coat (RCA, 1972)
Bijelo Dugme – Selma (Yugoton, 1974)
Black Fire – Do It! (Lark, 1975)
The Boston Boppers – Did You Get What You Wanted (Penny Farthing, 1974)
Brakaman – Sad Witch (Columbia, 1974)
Bubbles – Hazy Hazy (Metronome, 1972)
Nicky Bulldog – Chewing Gum Rock (Eurodisc, 1976)
Paris – Blue Robin (Capitol, 1976)
Cristopher Milk – Tiger (Reprise, 1972)
Frenzy – Poser (DJM, 1976)
Fancy – Touch Me (Atlantic, 1974)
Chuckles – The Music Goes Round (Bell, 1975)
Mustard – Good Time Comin’ (EMI, 1974)
Rococo – Ultrastar (Deram, 1973)
Agnes Strange – Give Yourself A Chance (BirdsNest, 1975)
The Disco Kid – Roller Coaster (RAK, 1975)
Daddy Maxfield – Rave’n’Rock (Pye, 1973)
Lewis Furey – Top Ten Sexes (Aquarius, 1976)
Light Fantastic – Alley Oop (MAM, 1974)
Catapult – Teeny Bopper Band (Polydor, 1974)
Supernaut – I Like Both Ways (Polydor, 1976)
Doc & Prohibition – Generation (Saint Martin, 1974)
Dog Rose – All For The Love of City Lights (Satril, 1972)
The Streakers – Turn Me Down (Dawn, 1974)
Sylvester and the Hot Band – Down On Your Knees (Blue Thumb, 1973)
Iron Cross – Everybody Rock On (Spark, 1974)
Pete Dunton – Taking Time (Rockfield, 1973)
Roderick Falconer – This Is Your Life (United Artists, 1976)
Alain Kan – City Palace (Motors, 1974)
Dorian – Mens’ Room (Amerama, 1977)
Mountain Child – Maybe I’m In Love (EMI, 1975)
D’Jurann Jurran – Streakin’ (Dawn, 1974)
Little Sammy Gaha – Rock’n’Roll Is Back Again (L.M.C.E., 1974)
Children of the Morning – Hey America, America (Durium, 1972)
Jinx – I Saw Your Face (Pink Elephant, 1974)
Darren Burn – Summertime Time (EMI, 1974)
Giggles – High School Girls (EMI, 1975)
Alvin’s Heartbeats – Chilli Willi Part 1 & 2 (Ariola, 1975)
The Rocketters – Rocket Man (Polydor, 1974)
Big John’s Rock ‘n’ Roll Circus – Lady (Put The Light On Me) (DJM, 1974)
Angel – Good Time Fanny (Cube, 1974)
House of Lilly – Turn Around (Eurodisc, 1973)
Floating Opera – Keep on Streaking (Topkapi, 1974)
Mabel – I’m Only Here to Rock ‘n’ Roll (Polydor, 1977)
Gang – Lightnin’ Lady (20th Century, 1976)
Nils Selzer – Der Drummer mit dem Holzbein (Bellaphon, 1976)
Merlin – Wild Cat (CBS, 1974)
Soho Jets – Denim Goddess (Polydor, 1974)
La Quinta Faccia – Sugar Baby Love (Euro International, 1974)
Zipper – Gettin’ It On (Telefunken, 1974)
Lally Stott – Jakaranda (Philips, 1971)
Geoff Whitehorn – Makin’ It Funky (Nova, 1974)
Bobbie McGee – Rock and Roll People (EMI, 1973)
Marcus Hook Roll Band – Natural Man (Regal Zonophone, 1972)
Hobnail – She’s Just a Friend of Mine (Bell, 1972)
Andy Bown – Supersonic (GM, 1975)
Little Nell – Do the Swim (A&M, 1976)
Bitch – Good Time Coming (Warner Bros, 1972)
Splash – Orangutang Boomerang (Plask, 1974)
Tracey Dean – Boy On The Ball (Mustang, 1974)
Flashman – Love Me a Little (Vanguard, 1977)
Olaf Stiletti – Golden Age Of Rock’n’Roll (Warner Bros, 1974)
Shambles – Hello Baby (RCA Victor, 1975)
Tiger – I Am An Aminal (United Artists, 1975)
Napoleon Jones – Lazy Love (AZ, 1975)
Union Express – Alligator Fix (Decca, 1973)
Abacus – Indian Dancer (Bellaphon, 1975)
Panther – One Man Band (Polydor, 1975)
Winston – I Won’t Let Anna Go (York, 1974)
Tim Dandy – Run Run Run Run Run (Penny Farthing, 1975)
Screemer – Billy (Bell, 1976)
Mike Berry – I’m A Rocker (Scramble, 1977)
Jett Black – Mademoiselle (Fiddlers Music Company, 1977)
Buzz – Motorway Madness (Polydor, 1976)
Desira – Gorilla (Thunder, 1976)
Lee – Back to the U.S.A. (Barclay, 1974)
T.U.S.H. – No, No, No (Best Seller, 1977)
Kero – Ke Rock (Odeon, 1974)
The Cordells – Annie Get Your Yo-Yo (GTO, 1974)
Skid – I Saw Her Standing There (Galaxy, 1977)
Zen – Lost Suede Shoes (Ariola, 1973)
Jeronimo – Na Na Hey Hey (Admiral, 1969)
Spinach – America, America (Canyon, 1973)
Rocky Cabbage – I’m Leaving (Barclay, 1973)
Honeycombak – Sex Change Sadie (Carousel, 1971)
Philwit & Pegasus – The Elephant Song (Chapter One, 1971)
Glo Macari – Looking For Love (Columbia, 1971)
Studd Pump – Spare the Children (Penny Farthing, 1971)
Yoko Ono – Open Your Box (Apple, 1971)
Red Line Explosion – Sweet Talking Mama (Penny Farthing, 1971)
J.J. Pam – Hip Hip Hurrah (Hansa, 1972)
The Bear Brothers – Red Shoes Trucken (Zebra, 1972)
Colonel Bagshot – Dirty Delilah Blues (Polydor, 1972)
Aubrey Small – Loser (Polydor, 1972)
Things Fall Apart – Bye Bye My Rose (President, 1972)
Fludd – Get Up, Get Out and Move On (Warner Bros, 1972)
Grunt Futtock – Rock’n’Roll Christian (Regal Zonophone, 1972)
Bonus Track:
Metro – Mono Messiah (Transatlantic, 1976)
