La puntata #4 di Sniffinglucose si apre con un mini-tour di novità che ci porta da Los Angeles al Canada, fino alla costa ovest dell’Irlanda, la Connemara. Qualcuno, lungo la strada, si è inventato la definizione di shoegaze gotico. Sì, suona minaccioso, ma tranquilli: la canzone spacca.
Nel segmento centrale si parla di Andrew Weatherall . Della sua fanzine, la leggendaria Boy’s Own, e di quel suo modo di guardare alle cose che metteva tutto, subito, nella giusta prospettiva. Andrew manca, e manca parecchio. Ma restano la sua musica e il suo spirito, che è poi il motivo per cui continuiamo a parlarne.
“C’è stato un momento in cui Andrew Weatherall – da genio – è transustanziato in divinità assoluta. Un unico, preciso ed esatto momento e… no, non è Loaded ma Rock Section dei Dayglo Maradona. 12” verso il quale necessiterebbe un libro soltanto per tracciarne la genesi. Traccia minore del 1979 di certi Skin Patrol, funkettari bianchi alla Orange Juice. Hanno un pezzo in faretra che sa di classico, un blues dub-bioso che usano in guisa di bis nei – invero rari – concerti dilatandolo per 25 minuti. ‘Na roba grassa, meccanica, futurista nel suo groove motorik, ‘na roba che Damon Albarn e la sua Honest Jon’s potrebbero ma… no è troppo tardi. Julian Cope è tra il pubblico in uno di quei rari concerti, ne viene folgorato sulla via per Liverpool, tenta di copiarlo con una drum machine e un basso in carbonari esercizi casalinghi. Poi la sua carriera si invola e gli Skin Patrol rimangono al palo, sconosciuti tra gli sconosciuti”.
Scriveva così, su queste colonne, il mai banale amico Michele Benetello a proposito di Sua Maestà Andrew Weatherall all’indomani della sua scomparsa. La pubblicazione delle ristampe dei due fondamentali album dei Sabres of Paradise è l’occasione per tornare a parlare del Maestro (l’utilizzo delle maiuscole quando Lo si cita è un obbligo oltre che un dovere)
https://sniffinglucose.com/2020/07/18/lord-sabre-the-guvnor/ qui il link per rileggere l’articolo
In chiusura, spazio ai Wednesday. Nel nuovo album c’è una frase che basta da sola: “That’s the way love goes: it bleeds.”
Uno dei dischi dell’anno, senza troppe discussioni.
