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È uscita la ristampa di In Utero dei Nirvana, a 20 anni di distanza dalla prima pubblicazione.

Come bonus, hanno pensato bene di pubblicare i missaggi originali del disco così come Steve Albini li aveva realizzati, e in più una nuova versione, sempre mixata dallo stesso Steve, in compagnia di Grohl e Novoselic.

Insomma, la storia è risaputa: i Nirvana volevano un disco senza compromessi. Si sono rivolti a Steve, che in un paio di settimane ha registrato come era solito fare: con tanto rumore, senza sovraincisioni, come compete a uno che ha lo spirito del punk impresso nel cuore.

Alla Geffen, però, il risultato non era piaciuto affatto, e fecero rimixare a Scott Litt un paio di brani, in particolare quelli destinati a uscire come singoli.


E quindi?

Quindi seguite un consiglio e recuperate questa ristampa: ne vale la pena.

Si ascolta In Utero come doveva essere. E, sebbene le differenze non siano così rilevanti, si capisce che è un gran peccato che il disco non sia uscito così come era stato pensato e come, in fondo, lo volevano pubblicare Cobain e soci.

Ascoltato in questo modo, è come se fosse davvero il prodotto di un percorso artistico.

Il gruppo degli esordi, influenzato dalle band della SST e dai Melvins, aveva fin da subito piantato i germi del pop nel proprio armamentario sonoro.

Ve la ricordate About a Girl, vero?

In quell’esordio di rabbia giovanile rumorosa, quel pezzo già indicava quello che i Nirvana sarebbero diventati in seguito: una formidabile macchina pop, influenzata dal White Album dei Beatles e capace di generare la stessa euforia.


Mi ricordo le settimane che precedettero Nevermind, passate con la speranza che quella nuova strada pop fosse in qualche modo sviluppata.

Era uscito un singolo che ci scaldava le ossa e ci faceva ben sperare:

Sliver.

Nevermind andò ancora un passo più in là. Forse troppo in là.

Con In Utero, i Nirvana volevano semplicemente tornare a casa.

In Utero, suonato nella versione di Steve Albini, è proprio questo: il disco di un gruppo che sentiva il bisogno di riappropriarsi del proprio spazio, di scendere dal treno in corsa, di tornare a fare i conti con il proprio spirito.

Uno spirito che non può essere tradito. Mai.


Volevano solo tornare a casa.

E noi con loro.

Ci siamo riusciti.

Con vent’anni di ritardo.

Ma quella cicatrice ci farà compagnia.

Fino alla fine.

Cesare Lorenzi


4 risposte a “Volevamo solo tornare a casa…”

  1. Avatar Giancarlo Frigieri

    Però stando a quello che diceva Azerrad, Cobain stesso finì per apprezzare il fatto che Scott Litt sistemasse i brani in maniera più pop e in effetti pure nel disco originale c’era un consiglio su come tenere le manopole dello stereo perché alla fine della fiera non ne era soddisfatto al 100% (in pratica una breve apertura sugli acuti avrebbe dato un suono più arioso). Insomma, credo che purtroppo il solo modo di tornare a casa in santa pace il buon Cobain lo abbia trovato nella canna di un fucile, purtroppo per lui. Va da sé che di queste cose parlarne in un pub per sette/otto ore… 🙂

    1. Avatar sniffinglucose

      Pub, sette otto ore di chiacchere sui Nirvana, aggiungiamoci qualche birra (tanto si smaltisce di corsa il giorno dopo)….considerami della partita :-).
      La scelta di Albini era stata una presa di posizione politica che alla Geffen era piaciuta poco, questa é una piccola certezza. Il lavoro di Scott Litt sará anche piaciuto a Cobain ma é stato comunque imposto dall’alto e forse non era necessario. Ciao e grazie per il contributo!

  2. Avatar Giancarlo Frigieri

    Azerrad, nella biografia “Come as you are” – (Collana Vessazioni 26, Arcana, Novembre 1994 in Italia) sostiene che Novoselic e Cobain non amavano che le voci fossero troppo basse (pag. 316) e dice che furono loro a chiamare Litt (pag. 320 e 321). Che il primo ascolto del master di Albini fosse odiato dai tipi della Geffen e della Gold Mountain questo è assodato. A questo punto si tratta solo di scegliere il pub 🙂

  3. Avatar Figueredo

    Nice blog thankss for posting

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