OUGHT
OUGHT

Della polemica a proposito di Spotify mi ha infastidito solo una cosa, alla fine: la solita superficialità con cui si é affrontato un argomento così complesso. No, non voglio riaprire la questione adesso. Se ne é parlato abbastanza e spesso a sproposito un po’ ovunque.

Una cosa però dei servizi digitali mi da particolarmente fastidio: é quell’infido logaritmo responsabile di consigliarti altre band a seconda dei tuoi ascolti precedenti. Ancora peggio il servizio “radio”. Ascolti gli Smiths, faccio per dire, e poi ti propongono in successione Ocean Colour Scene, ancora gli Smiths (che te li infilano un brano sí ed uno no, cosí per non sbagliare), Johnny Marr (che fantasia, cazzo), Stone Roses, New Order, Interpol, Morrissey e così via. Niente di male, in effetti, direte voi. A me però questo “perfezionamento” indie-pop in versione union jack (nell’esempio in questione) che ti propinano un po’ mi inquieta invece che rassicurarmi. Non mi piace questo catalogare i tuoi gusti e di conseguenza i tuoi ascolti. Mi pare un brutto modo di tenerti in un recinto e di non farti scoprire tutto un mondo di altri suoni che magari potrebbero pure piacerti. Non mi piace in sostanza che ti invitino ad una specializzazione degli ascolti.

Mi é capitata sotto gli occhi una foto di una cassetta. Un concerto registrato al CBGB in maniera non ufficiale. Un bootleg su nastro, in pratica. Fine anni ottanta, anche se la data non é specificata. Una serata dove sul minuscolo palco del locale newyorkese si erano alternati Sonic Youth, Unsane, B.A.L.L. e Galaxie 500.a2f4ea9ce36411e2b36722000ae90e0a_7

I Galaxie 500 lì in mezzo fanno un po’ sorridere, vicino agli Unsane, ma a pensarci bene non era faccenda così insolita quella di ritrovare band differenti (nel suono e nell’attitudine) a condividere lo stesso palco. Abitudine che é andata in disuso nel corso del tempo, mi pare. In nome della “specializzazione”, appunto. E pensare che in casa tengo i dischi sia degli uni che degli altri, Unsane e Galaxie 500 intendo: due band che per motivi differenti ho comunque ascoltato ed amato tantissimo.
Le eccezioni sono sempre dietro l’angolo, sia chiaro. Esistono posti, sorprendentemente a due passi da casa nostra, che della specializzazione se ne fregano. Mi viene in mente il “Beaches Brew”, il festival estivo dell’Hana-Bi, che in quanto a diversità sorprende ogni anno. Gente capace di mettere Dream Syndicate e Dirty Beaches nella stessa serata avrà la mia eterna gratitudine, sia chiaro. Insomma qualcuno che non ragiona a compartimenti stagni si trova. Qualcuno che non si fará condizionare dai “consigli” di spotify quando c’é da mettere in piedi una programmazione, statene certi.
Poi alla fin fine si torna al solito discorso che la tecnologia dovrebbe essere utilizzata con un minimo di raziocinio. Le faccende legate alla musica non fanno eccezione, evidentemente. Anche perché i gruppi migliori si scoprono per altre vie. Mica grazie ad un algoritmo. Fidatevi degli amici, piuttosto. Io non ho mai smesso di ringraziare un conoscente che mi trascinò a vedere i Cramps, per esempio. Mi cambiò la vita e da quel giorno “damaged rock’n roll” é uno slogan che porto tatuato nel cuore.
Mi fidavo, e lo faccio tuttora, di alcuni critici musicali, inoltre. Qui il consiglio non é proprio disinteressato pensando a tutti quelli che leggono queste pagine e magari ne traggono ispirazione. Certe cose le ho scoperte così, però. I dischi SST, giusto per fare un nome.

Mi facevo condizionare da quello che leggevo. Compravo a scatola chiusa, portavo a casa e rimanevo sbalordito. Immaginatevi la mia faccia: passare dagli Smiths ai Firehose. Però vuoi mettere l’eccitazione di scoprire qualcosa di completamente differente, qualcosa che ti costringeva in qualche modo ad aprire se non il tuo cervello quantomeno le orecchie. E a spalancarle per bene, inoltre.

Non ho mai smesso di amare i gruppi che mi fanno quell’effetto. Che non mi fanno capire bene, che non mi danno punti di riferimento. Ogni tanto capita ancora, per fortuna. Recentemente mi é successo con gli Ought, band di passaporto americano stanziata in Canada che ha appena pubblicato un album per la Constellation Rec., la stessa che stampe gli ottimi Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra e i God Speed You! Black Emperor.

Ought "more than any other day"
Ought “more than any other day”

Gli Ought non mi hanno entusiasmato, al primo ascolto. Piuttosto mi hanno tenuto agganciato. Affascinandomi d subito quel tanto che é bastato per tornarci sopra un’altra volta, poi un’altra volta ancora . E ogni volta ho scoperto qualcosa in più, un altro dettaglio, un piccolo tassello di un mosaico che mano a mano prendeva forma. Echi di vecchia scuola post-punk, un mantra recitato che si trasforma in poesia. Accelerazioni, scariche elettriche, Birthday Party che si stagliano in sottofondo. E poi improvvisamente “canzoni”. The Feelies, i primi Strokes, e poi ancora Pop Group,Gang of Four e Modest Mouse. Roba che suona familiare ma non riconoscibile, che ha il buon gusto di non scadere nell’abusata riscoperta del primo post-punk. Non ci sono scorciatoie, si viaggia costantemente oltre i 5 minuti a canzone, che si sviluppano tutte come in un labirinto elettrico ma alla fine trovano sempre il modo di districarsi. Ci vuole però impegno. Ma il disco ripaga alla grande. Sopratutto dopo che ci avrete investito il tempo richiesto. Una band che non si pone limiti, che non vuole trasformarsi nella parodia di qualcos’altro. Suonano con la convinzione di fare arte e poesia, non semplici canzonette. Si percepisce che arde la sacra fiamma dell’ispirazione e di una sana ambizione.

Insomma sarebbe un peccato sottovalutare gli Ought, dategli un ascolto. Se poi non vi piaceranno potrete pure mandarmi al diavolo. Volete mettere la soddisfazione? Senz’altro maggiore che mandare a fanculo l’algoritmo di Spotify.

Cesare Lorenzi


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