“We started as a joke and idea we played broken songs on broken amps and cardboard drums and it never got much more professional. We believe in obsolete things and passionate hearts and still do and made these records from our hearts to yours for whatever it was and still is and coul be”.
dalle note di copertina di Broken Record Prayers (2008), Comet Gain
CometGain
Ciascuno ha gli eroi che si merita, assioma inconfutabile come logica vuole, visto che di solito i propri eroi ognuno se li sceglie per conto suo. Io di eroi ne ho sempre avuti pochi. E di quei pochi alcuni si sono in seguito rivelati inadeguati a ricoprire il ruolo che avevo loro assegnato, altri sono caduti.
Dunque me ne sono rimasti pochissimi.
Uno di questi è David Christian Bower, il cantante dei Comet Gain.

Ho incontrato tre volte Bower ma con lui non ho mai parlato, fatta eccezione per quelle poche frasi che scambiammo al Covo la notte di capodanno del 2005.
Non mi è mai piaciuto conversare con i musicisti prima e dopo i concerti, quella volta però lo feci. Lo feci perché volevo chiedergli di inserire una specifica canzone nel set di quella sera.
Ecco un’altra cosa che solitamente evito: invitare qualcuno a suonare una particolare canzone.
Quella volta però dovevo per forza chiederne una. Perché quella canzone è una delle mie favorite di sempre, perché era capodanno, perché eravamo nel mio club preferito e infine perché di lì a pochi mesi sarebbe nato mio figlio e tutto – immaginavo – sarebbe cambiato. Credo mi piacesse l’idea di individuare in quella notte una linea di confine tra un prima e un dopo e che quella determinata canzone dovesse esserne la necessaria colonna sonora, l’unica possibile. O forse pensavo potesse essere un modo per esorcizzare tutto e per far si che ogni cosa rimanesse al suo posto.
Meno enfaticamente, al netto di romanticismi e ricordi appannati, è solo probabile che mi piacesse l’idea di ascoltare quella canzone suonata dal vivo quella sera. Nient’altro.
In ogni caso lui mi disse che il gruppo che lo accompagnava era stato riunito solo pochi giorni prima allo scopo di mettere in piedi quel concerto di capodanno e che You Can Hide Your Love Forever non l’avevano provata. Quindi no, quella canzone non l’avrebbero suonata.
A sorpresa invece, verso metà concerto David Christian Bower partì proprio con quella canzone.
In principio solo voce e chitarra, poi ad un certo punto mi invitò a salire e io lo feci.
Andai sul palco e cantai assieme a lui, mentre il gruppo dietro accompagnava il nostro singolare duetto con una ritmica ridotta al minimo sindacale.

Nella vita ci sono alcuni specifici momenti che contribuiscono a definirci.
Alcuni di questi sono eventi straordinari di cui abbiamo immediata percezione, altri sono invece piccoli accadimenti che sbucati dal nulla si depositano come piccoli semi e semplicemente si infilano nel nostro subconscio decantando e germogliando poi nel tempo. Al redattore di una mia ipotetica quanto improbabilissima futura biografia, suggerirei di catalogare quella serata in una via mediana tra ordinario e straordinario. In ogni caso di sistemarla tra quegli accadimenti personali che in qualche modo hanno contribuito ad indirizzare il percorso futuro in una direzione piuttosto che nell’altra.

Nonostante non ci siamo in sostanza mai parlati, posso dire che la questione tra David Christian Bower e me sia una faccenda personale. E che lo sia semplicemente per via delle canzoni che l’uomo ha scritto e cantato negli ultimi vent’anni. Tutte le sue canzoni, indistintamente.
Comprai il primo album nel 1995 seguendo il consiglio di Everett True sulle pagine del Melody Maker, l’unico giornalista cui prestavo fiducia illimitata e l’unica persona tra quelle che conoscevo che all’epoca mostrò concreti segnali di entusiasmo per i Comet Gain. Le note di copertina di quel disco erano compilate da Dan Treacy dei Television Personalities: non potevo chiedere di più.
Non rimasi deluso da quel disco e di lì in avanti comprai ogni loro uscita: 45 giri, ep, album.
Dischi di quelli che ogni volta che li ascolto mi convincono che valga ancora la pena tener botta. Allo stesso modo, tutti.
La frase che sta sotto il titolo di questo blog viene dalle note di copertina di un loro disco, per dire.url

Dovessi spiegare a qualcuno il dove e il quando è nato un tale amore, lo saprei fare. Lo farei anche con un dettaglio e una cura dei particolari estrema. Il come sarebbe più difficile. Elencherei a vanvera cose chiare solo a me. Perché in certi casi – i migliori – la musica è importante tanto quanto l’immaginario che chi la suona le ritaglia attorno. E in un determinato immaginario uno ci si riconosce oppure no.
Nello specifico la colonna sonora di una vita spesa alla ricerca degli avamposti della cultura pop, costruita su tematiche che masticano la politica del quotidiano dove le rivoluzioni prendono forma nei fotogrammi in bianco e nero di film francesi, tra il molo di Brighton e il casinò di Wigan. Un northern soul scritto col cuore in mano e suonato con l’anima da chi nelle note di copertina di un proprio disco una volta si definì un qualcuno salito sul palco senza saper imbracciare uno strumento e senza avere nulla da dire.

David Christian Bower, più in generale, è uno di quelli che gioca un campionato per conto proprio, e nel suo campionato la maglia rossa bordata di bianco, con il numero sette sulla schiena sarà sempre idealmente indossata da George Best. Pubblica dischi che sono oggetti del desiderio, opere minuscole di per se ma gigantesche per chi ha voglia di coglierne il significato. La sua vita, proprio come la mia, è inevitabilmente altrove ma è bello pensare che stia invece lì, proprio a fianco alla mia, in mezzo alle sue canzoni, tra storie di amori sciupati e spiagge autunnali incorniciate da beat d’altri tempi e raccontate con parole che chiudono cerchi, scolpendosi nel cuore: punk, soul and damaged rock and roll, we felt so proud to be underground.

Come scrisse a un certo punto di una sua canzone qualche tempo fa: music will save you again and again.
Frase semplice e abusata certo, ma la retorica quando sbuca nelle parole di certe persone non pare poi così fuori luogo. Almeno a me.
Alcune canzoni salvano la vita, è vero.
Molto più di altre.

ARTURO COMPAGNONI

Paperback Ghosts, il nuovo album dei Comet Gain, è uscito il 7 luglio

 


Una replica a “Hiding love forever”

  1. Avatar Paolo
    Paolo

    Caro Arturo, io ho un debito con te vecchio di 15 anni: una tua recensione di realistes su Rumore mi ha fatto conoscere questo che è diventato il mio gruppo preferito (clash a parte).
    grazie
    Paolo

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