
Nella mia vita ho fatto indubbiamente molti errori.
Un po’ come tutti, credo.
In questi casi, quando ci si ferma a pensare, è abitudine comune ripetere una antica litania, passaporto illusorio per una improbabile miglior vita: tornassi indietro quella cosa non la farei più. Oppure la farei, ma in modo diverso.
Bisognerebbe avere a disposizione script e set di quel film, Ricomincio da capo, in cui ogni mattina Bill Murray si trovava a vivere la stessa identica giornata, inaugurata dalle note di I Got You Babe di Sonny & Cher. Magari al posto di quel brano, che pur apprezzo sia nella sua versione originale che in quella proposta da UB 40 e Pretenders, ne sceglierei un altro, qualcosa di più significativo per me. Una canzone il cui testo potrebbe essere un mash up tra un paio di specifiche canzoni dei Pavement: Here e Frontwards. L’immortale epitaffio della precarietà slacker: I was dressed for success, but success it never comes, shakerato con la dichiarazione di colui che, annoiato dalla falsa modestia, proclama infine la propria superiorità: I’ve got style, miles and miles, so much style that it’s wasting.
In ogni caso quella frase sul non replicare gli errori avessi una seconda occasione, ho smesso di tirarla fuori da tempo.
Scrivendo su questo blog con due amici che sono tra le persone che mi conoscono meglio al mondo, mi sono accorto che questo è un pensiero collettivo e condiviso, tanto che in maniera del tutto involontaria e non programmata il concetto ha finito per essere ripetuto più volte tra i nostri scritti: noi siamo quello che siamo e non possiamo farci nulla, se non nei limiti di una libertà di arbitrio limitatissima. Libertà i cui confini peraltro sono solo parzialmente imposti dall’ambiente circostante, bensì prevalentemente iscritti nel nostro dna.
Di questa faccenda arrivi a un punto che te ne rendi conto in modo inequivocabile e ne acquisisci piena consapevolezza.
E’ il momento in cui si fa outing con se stessi smettendo di pensarsi diversi da quel che si è o di aspettarsi miracoli che non arriveranno mai.
Come dicevano gli Hüsker Dü, benedetti sempre: la rivoluzione comincia a casa, preferibilmente davanti allo specchio del bagno.
Se 30, 20, 10 ma forse anche solo 5 anni fa avessi vagheggiato modo e forma con cui sarei arrivato al mio rotondissimo compleanno di oggi, la situazione la avrei ipotizzata in maniera sicuramente diversa.
Francamente avrei pensato peggio.
Mi sarei aspettato una quantità di rimpianti e nostalgia assai più rilevante.
Anche se non mi piace voltarmi indietro mi rendo conto che ogni tanto sarebbe utile farlo se non altro per stilare un bilancio. Decidessi un giorno di redigere una contabilità ho la presunzione di credere che in un ipotetico saldo tra il dare e l’avere io abbia più dato che ricevuto. Va bene così, non gradisco l’idea di avere conti da saldare, delle due preferisco lasciare indietro crediti che non incasserò mai.
Mi piacerebbe però stilare un elenco di persone da ringraziare per ciò che hanno rappresentato e per quello che hanno fatto con me e per me in questi 18.250 giorni.
Ma non lo farò perché di certo ne dimenticherei qualcuna.
Come si dice in questi casi, voi sapete chi siete: keep the faith alive.
Ty Segall – Manipulator
Ty Segall è indubbiamente un genio e il suo nuovo album è davvero tanta roba. Qualcosa mi dice che se ne parlerà parecchio e che per capirlo prima e assorbirlo poi ci vorrà un po’ di tempo. Quindi me la prendo comoda e per adesso mi fermo alla prima canzone, quella che apre il disco e gli fornisce il nome. La ritmica scandisce le sillabe del titolo con incedere indolente e ripetitivo, molto kraut. La chitarra regala un giro che si incolla alle dita mentre l’organo divaga e il mellotron (o quel che è) fulmina scariche di elettricità statica. Segall lo vidi in concerto un paio di estati fa e non mi fece particolarmente effetto, ma ora che arriverà di nuovo a suonare dal vivo vicino casa mia tra un paio di mesi, non vedo l’ora di incontrarlo di nuovo.
The Growlers – Good Advice
What? These are the groovy psychedelic surf rock Growlers? Sounds like boring Black Keys indie rock kinda stuff to me. Sad they’ve lost their psychedelic vibrations but, yaeh it is how it is.
Questo è il primo commento che si incontra se aprite la pagina di youtube dove trova posto il video del pezzo piazzato come anticipazione del nuovo album dei Growlers, Chinese Fountain, che uscirà a fine settembre. Il tizio che lo ha scritto devo dire non ha tutti i torti. Ma la dinamica farfisa/batteria della canzone a me fa uscire di testa e la prima strofa – You think that you know more about being, being lonely?/ Well I get so lonely, no one’s allowed to hold me, hold me – è un gancio che stende al tappeto.
A questo punto sono molto curioso di ascoltare l’album.
Cosines – Nothing More than a Feeling
E’ un momento che dopo un lungo black out personale nei confronti degli Stereolab sono tornato in piena rispolverando uno dopo l’altro tutti i loro dischi. Quindi quando pochi giorni fa mi ha scritto un amico che vive a Bristol suggerendomi un gruppo di Londra che a suo avviso si presentava come un mix tra Comet Gain e Stereolab mi ci sono buttato subito. Il loro disco si intitola Oscillations ed è bello tutto, dal principio alla fine dove peraltro sistemano una torch song strappa mutande. Che però non è la canzone che ho messo qui sopra. Perché oggi non sono in vena di romanticismi e ho voglia di ballare. Inutile informarvi che delle due ragazze che vedete presentate in apertura del video mi sono innamorato all’istante.
Letting Up Despite Great Faults – Automatic
Il loro disco precedente mi piaceva assai e se ben ricordo ne scrissi anche in un mio Privè su Rumore, ma il nuovo in uscita in questi giorni – Neon – è anche meglio. In questo pezzo la chitarra è rubata a un qualunque singolo dei New Order del periodo tra Power, Corruption and Lies e Low-Life mentre la voce arriva direttamente da sogno della persona che vi sta dormendo di fianco. Ricordano un po’ i Pains of Being Pure at Heart un po’ i Postal Service e più oltre nel disco si sentono anche echi di Pet Shop Boys.
Tanta tanta voglia di leggerezza.
The Vacant Lots – Mad Mary Jones
Sono in due e arrivano da Burlington, Vermont. Me li ha segnalati qualche settimana fa Massimiliano (o era Cesare?). Hanno una pagina su Wikipedia. I nomi lì segnati in azzurro, con cui in un modo o nell’altro hanno a che fare, li elenco qui di seguito: Gun Club, Television, Sonic Boom, Spacemen 3, Black Angels, Dean Wareham, Growlers, Alan Vega, Suicide, Iggy Pop, Psychic Ills, Dead Meadow, Fuzztones, Brain Jonestown Massacre. Se si ascoltano le due uscite simultanee di quest’estate, l’album Departure e l’ep Arrival si capisce che in effetti i nomi di cui sopra ci stanno tutti, ma volendo semplificare l’elenco potremmo fermarci a Spacemen 3 e BJM.
Tra poco verranno a suonare in Italia.
Credo convenga esserci.
Arturo Compagnoni