In una settimana in cui del tour italiano di Morrissey hanno parlato più o meno tutti ho veramente poco da aggiungere se non impressioni strettamente personali. Ho amato molto gli Smiths e ho cercato di stare dietro alla carriera solista di Morrissey che non ha sempre vissuto momenti indimenticabili ma l’imprinting subito la prima volta che ho ascoltato Reel Around The Fountain è una di quelle cose che ti porti dietro tutta la vita.
In particolare mi hanno fatto ridere le lamentele di chi voleva più canzoni degli Smiths. Pubblico evidentemente plagiato dal virus della reunion dove l’artista suona esattamente quello che voglio io, anzi si ricostituisce proprio per quello.. Un perfetto spirito dei tempi che viviamo dove il verbo desiderare ha perso ogni significato. Dove possiamo ascoltare la canzone che vogliamo, vedere il film che vogliamo o il leggere il libro che vogliamo nell’esatto momento in cui insorge il desiderio. E se non succede ci innervosiamo. Come si permette Morrissey di non suonare quello che voglio io?
Con Morrissey in realtà è un po’ diverso. A parte il fatto che la sua carriera solista ormai ammonta a ben 26 anni contro i soli 5 di militanza negli Smiths il diritto di suonare le canzoni che vuole se lo è guadagnato, a mio parere, mantenendo una onestà e coerenza che seppur non sempre visibile, o riconosciuta dai più, è in realtà, a guardare bene, sempre presente. Nei suoi testi, certamente, ma anche le polemiche sterili, le uscite esagerate sono sempre state in linea assoluta con il personaggio.
Ho sempre stimato le persone che, non importa il contesto o chi hanno davanti, hanno sempre saputo mantenere un proprio comportamento dettato da un’onestà di fondo.
Nel mio piccolo ho sempre cercato di non restare disgustato dall’immagine di chi mi si presenta la mattina quando mi specchio.
Possono essere comportamenti indecifrabili o non condivisibili ma coerenti ed onesti.
Forse è per questo che l’altra sera, durante il concerto bolognese, risentire la frase che apre questo Fiver mi ha fatto ricordare, in questi tempi difficili, chi sono e l’impressione che vorrei lasciare in chi incontro.
Morrissey – Speedway Live in Bologna 17/10/2014
Fisico da pensionato, voce della Madonna. Credo di aver scritto così ad un amico. Se c’è un pezzo che da un senso all’intera carriera solista di Morrissey questo è Speedway da Vauxhall And I e vederselo recapitare come secondo pezzo in scaletta dritto in mezzo alla cassa toracica un venerdì sera in un vecchio palasport, con poca concentrazione e la testa ancora obnubilata dalle preoccupazioni per il presente e il futuro, è l’equivalente di uno schiaffone in faccia e mi ricorda improvvisamente tutto quello che abbiamo “passato insieme”. Ok, scusa Stephen, sono qua.
Ultimate Painting – Ultimate Painting
Si conoscono in un tour condiviso. Si annusano. Si piacciono. James Hoare (Mazes) e Jack Cooper (Veronica Falls) decidono di buttare giù un po’ di idee insieme e confezionano questo omaggio alla prima comunità hippy rurale americana. Finiscono abbastanza lontani dalle atmosfere dei rispettivi gruppi di provenienza. Ultimate Painting si srotola e avvolge. Conforta e accarezza nel suo andamento già ascoltato un milione di volte ma stranamente nuovo.
Ought – New Calm Pt 2
Proprio mentre nella loro solitamente pacifica madrepatria canadse succedono cose di una violenza inspiegabile e inaspettata gli Ought approdano dalle nostre parti e si fanno precedere da questa manciata di canzoni che si aggiungono al già apprezzatissimo More Than Any Other Day. In realtá questo non è un pezzo nuovo ma una rilettura sonicamente monocorde, della durata di 7’15, di un pezzo del 2012. “Oh I love this one” proclama in apertura il frontman Tim Beele prima di lanciarsi in una danza insensata sciorinando versi assurdi come “Hear me now that I am dead inside, that’s the refrain!” O, ancora, “Who invited Paul Simon? I didn’t invite him”. Tu ascolti e pensi..cazzo, i Fall. Hit the north accelerata?
Se l’8/11 al Covo durante il concerto vedete un tipo visibilmente provato che si gratta la testa a metà tra il perplesso e il deliziato passate a salutarmi. Mi fa piacere.
Sleater Kinney – Bury Our Friends
Opero un piccolo scippo a Cesare Lorenzi. Questo è un gruppo “suo”, e sono certo che di qui a breve celebrerà doverosamente il loro ritorno. Io l’ho sempre apprezzato, diciamo cosi, un po’ da lontano.. Dischi piaciuti abbastanza, ma mai scattato l’amore. Visti nel 2000, mah. Portlandia, doppio mah. Eppure .. Il loro ritorno non saprei come altro definirlo se non “necessario”. Una canzone bella, che ci rispedisce a quando la musica “alternativa” sembrava veramente parlarci in modo diverso.
Communions – So long sun
Mi immagino John Squire che ascolta questa canzone alla radio e cade dalla sedia. Bum! Poi chiama Ian Brown dicendogli “sto invecchiando Ian, questo pezzo nostro proprio non me lo ricordo. Tra l’altro è proprio buono, sei quasi intonato..”. Premesso che da queste parti il primo album degli Stone Roses sta sul comodino proprio in mezzo tra gli occhiali e il bicchiere d’acqua della notte questi ragazzini danesi si affacciano dallo squarcio creato dai “maggiorenni” Iceage e Lower spedendoci dritti dritti a Spike Island.
Massimiliano Bucchieri