Brian Eno e Karl Hyde
Brian Eno e Karl Hyde

Sono abbastanza in fissa con le date. Forse è un modo per ricordare meglio le cose, oppure una maniera per contestualizzare gli eventi. O più probabilmente è una mania e basta, come tante altre.
Praticamente tutte le persone che mi conoscono sanno che tengo questa vecchia agenda su cui riporto con diligenza marziale tutte le date dei concerti che mi capita di vedere. Da sempre. Da lì mi accorgo di non essere mai stato bambino per quanto riguarda la musica. Sono partito direttamente dalla fine senza passare dal via. A parte un live di Renato Zero, primo amore ai tempi delle medie e unico concerto visto negli anni ’70, ai Clash in Piazza Maggiore. Nessuna mediazione, nessun passaggio intermedio, nessun processo di crescita: a 13 anni con Massi al Parco Nord sotto la tenda di Zerolandia e a 15 anni ancora con Massi in Piazza Maggiore a vedere i Clash. Punto.
Con quell’agenda per me è semplice ripercorrere il sentiero dei ricordi.
L’anno appena concluso ad esempio è compreso tra il 10 gennaio, serata al Covo con ospitata della nuova etichetta messa in piedi da Alan McGee (359 Records), e il 27 dicembre chiuso con l’accoppiata Be Forest/Le Man Avec Les Lunettes al Vibra di Modena (a capodanno sono arrivato giusto sui saluti dei Giuda, la serata dunque non va a referto). Scorrendo l’elenco cronologicamente il primo lampo è stato il concerto di Stephen Malkmus (Covo, 24/1) con quella Summer Babe arrivata all’improvviso come una lama che squarcia il telo dei ricordi, sensazione simile a quella provata sulle note della 4th of July dei Galaxie 500 piazzata in fondo al concerto di Dean Wareham al Mattatoio (16/5). I miei due gruppi (più o meno) nuovi dell’anno non hanno deluso alla prova del palco: i Cloud Nothings (Hana Bi, 4/6) mi hanno ricordato quale sia la mia strada di casa (non che ce ne fosse bisogno, ma puntellare le certezze non fa mai male) mentre gli Ought (Covo, 8/11) hanno regalato l’impressione di potersi piazzare per un pezzo una spanna sopra qualunque band loro coetanea, coniugando passato e presente in maniera perfetta con quella perizia mescolata a noncuranza che solo i canadesi posseggono. A proposito di coetanei, mi hanno emozionato parecchio quelli che hanno la mia età: dei Neutral Milk Hotel (Hana Bi, 5/6) ho già scritto, gli Slowdive (Radar Festival Padova, 16/7) hanno fatto scorrere – non solo metaforicamente – lacrime inattese, Morrissey (Paladozza, 17/10) ha impartito lezioni di stile come solo lui è in grado di fare, Vic Godard (Covo, 18/10) e Bob Mould (Village Underground Londra, 18/11) hanno inchiodato la certezza che si, possiamo ancora farlo.
Il gruppo che ho incrociato più volte sopra un palco (4) sono stati i Be Forest che hanno mostrato una progressione esponenziale nel prendere confidenza con il materiale del loro secondo disco: al Vibra a fine anno erano talmente belli da vedere e da ascoltare che quasi sembrava un peccato essermi già da tempo innamorato di loro per non poter così gustare il sapore del colpo di fulmine improvviso. Restando in Italia ho ritrovato con enorme piacere i Julie’s Haircut (Hana Bi, 25/7) che chissà perché avevo perso un po’ di vista e scoperto un paio di gruppi che penso e spero mi tirerò dietro per un pezzo: nella stessa sera al Locomotiv di Bologna (5/4) ho conosciuto difatti gli Own Boo (poi rivisti all’Handmade Festival l’1/6 e all’Hana Bi il 4/7) e gli Havah (anch’essi in replica all’Hana Bi il 5/7), da entrambi mi aspetto grandi cose in futuro a proseguimento dei già ottimi dischi messi fuori finora (un’ep per i primi, un paio di album per i secondi).
Se questo sia stato un anno buono per la musica che ascolto non lo so e nemmeno mi interessa saperlo, lascio volentieri ad altri il compito di tracciare classifiche e bilanci, io sono a stento capace di pensare a me stesso. Su 365 sere di cui un anno si compone, 80 le ho passate fuori di casa a vedere concerti, vale a dire una sera ogni 4,5. Ho visto suonare 142 gruppi, bevuto una quantità di gin tonic adeguata e fatto qualche conoscenza interessante, evitando altresì un sacco di persone desiderose di scoprire il mio giudizio sulle cose.
Ho accompagnato Giulio a vedere lo show case della Newtopia (serata non contata nel mio elenco): c’erano J-Ax e Fedez. Non mi è parso un evento educativo, ma sono convinto che le cose debbano fare il loro corso e quindi non mi dispiace averlo accontentato, il solo fatto che alla sua età si interessi così tanto (e in sua totale autonomia) alla musica mi fa innegabilmente piacere.
Sono tornato a Londra dopo diversi anni d’assenza e l’ho trovata bene, spero di aver fatto la stessa impressione io alla città.
Continuo a divertirmi, anzi quest’anno – non so perché – mi sono divertito più del solito. Mi diverto a vedere concerti, mi diverto ad ascoltare musica, mi diverto a suonare dischi nei club che piacciono a me.
Credo che la mia vita senza tutto questo sarebbe stata molto diversa. Sinceramente non sono convinto che sarebbe stata peggio, è una domanda che a volte mi pongo senza cercare mai seriamente una risposta. Per certi versi immagino che sarebbe stato più comodo fermarsi a un certo punto e provare a vivere come le persone normali. In ogni caso per me questa non è mai stata un’opzione. Faccio quello che so fare, faccio quello che devo fare, faccio quello che posso fare. Nient’altro.
Senza rimpianti e senza rimorsi, as usual.

Moon Duo “Animal

Non ricordo esattamente dove e come è cominciata la mia passione per i suoni ripetitivi. Di sicuro non dai gruppi kraut, che pure oggi apprezzo moltissimo, ma a cui sono arrivato ben in là nel corso della mia formazione musicale. Probabilmente fu la miscela innescata dalla quasi contemporanea scoperta (da parte mia) di Suicide e Velvet Underground ad innescare l’ordigno, fatto sta che nel tempo la mia passione per i suoni che si ripetono in loop non è mai diminuita e ogni volta che mi capitano sottomano personaggi che mettono in pratica la lezione di Neu e Can non posso esimermi da ascolto e apprezzamento. Ripley Johnson di sicuro è uno di questi: tra Wooden Shjips e Moon Duo non risparmia un colpo. Questa canzone sarà pubblicata come 7” allegato al loro nuovo album, Shadow of the Sun, in uscita il 3/3 per la sempre eccellente Sacred Bones. Non vedo l’ora di ascoltarlo.

Colleen Green “Pay Attention

Chissà se il titolo del nuovo album di Colleen Green, I Wanna Grow Up, sia da intendersi in senso ironico oppure no. A vederla come posa sulla copertina del disco (che sarà pubblicato il 24/2) si direbbe buona la prima, in ogni caso la canzone che anticipa la sua uscita è in linea con quanto ci aveva sin qui fatto ascoltare: pop punk di quelli che si appiccicano alla suola delle scarpe con una voce il cui tono, tra lo scazzato e il mieloso, che fa la differenza.

ScotDrakula “I ain’t Going to Sleep

I tag sul loro sito dicono: punk/garage rock/lo-fi/soul/Melbourne, e tanto dovrebbe bastare. Non provate a cercare il loro disco perché l’hanno pubblicato solo in Australia e dubito che qualcuno si prenderà la briga di portarlo fuori di lì. Ed è un peccato. Perché se è vero che di gruppi così, che suonano un po’ come i Ramones solo rallentandone un po’ la velocità, nella mia vita ne ho trovati a centinaia, quando mi capita di scovarne un altro mi ci affeziono subito.

Schonwald “Triangle

Come spesso accade si presta attenzione a quello che accade a migliaia di chilometri da casa poi ci sfugge (o si snobba) ciò che succede nel proprio giardino. Gli Schonwald ad esempio: sono anni che mi capitano a tiro e mi dico dovrei ascoltarli e andare a vederli suonare dal vivo, poi invece niente. Questo pezzo sta nel loro ultimo album, Dream for the Fall, uscito già da qualche mese e trovo che nulla abbia da invidiare ai (giustamente) celebrati Soft Moon. La prossima volta che capiteranno dalle parti di casa mia li andrò a vedere, giuro.

Brian Eno & Karl Hyde “Return

Brian Eno oggi ha 66 anni. Era nella prima formazione dei Roxy Music (a mio avviso uno dei più sottovalutati tra i grandi gruppi rock inglesi di sempre), ha prodotto e/o suonato in dischi come Fear di John Cale, Low e Heroes di Bowie, il primo Ultravox e il primo Devo, la compilation manifesto No New York, Talking Heads, U2, James e Slowdive. Ha pubblicato una marea di dischi solisti, alcuni dei quali molto belli e certe sue uscite in collaborazione con altri hanno fatto la storia (quelle con David Byrne e Robert Fripp su tutte). Nell’anno appena trascorso ha trovato ancora il tempo, e soprattutto la voglia, di metter fuori due dischi assieme a Karl Hyde degli Underworld. Io uno così vorrei che stesse in giro in eterno. E una canzone del genere non mi stancherei mai di ascoltarla, un giorno appresso l’altro.

Arturo Compagnoni


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