Sono una ragazza punk. Non credo al successo. Dichiara Katie Crutchfield risoluta.
Difficile non crederle, basta osservare il tatuaggio che porta sul braccio: la copertina di The Executions of all Things, di Rilo Kiley, disco di vero culto emo.
Punk in senso lato, si capisce. Non si tratta di musica, in questo caso. Ma di aver appreso la solita vecchia lezione. Hai qualcosa da dire? Bene, fallo. Esci là fuori, sali sul palcoscenico, chitarra acustica e microfono. Nessun filtro ma anche nessuna protezione.
Canzoni che devono funzionare immediatamente. Chiudi gli occhi ed attacchi. Racconti la tua storia che è quella di una qualsiasi adolescente non allineata. Ma lo fai con una convinzione, una grinta e un cuore fuori dal comune. La gente lo capisce immediatamente. Applausi.
Seguono dischi registrati in casa da amici.
Tatuaggi con il tuo nome su braccia non ancora maggiorenni di gente che ti guarda estasiata e ti dice: ma tu canti la mia vita. La stessa cosa che pensavi tu di quell’album di Rilo Kiley.
Canzoni come un salvagente in un mare in tempesta. Roba che talvolta salva la vita.
Due dischi (American Weekend e Cerulean Salt) di cui ci si innamora perdutamente. Che spaziano dall’acustico fino a qualche concessione al rumore e alla distorsione. Li registri con il nome Waxahatchee e nessuno capisce bene perchè. È roba tua, solo tua. Non esiste una band. Solo qualche amico, qualche ex fidanzato che si ferma qualche giorno e suona. Giri il mondo, in tour. Talvolta da sola. Spesso accompagnata. Ma senza soluzione di continuità. Gente che va e viene. Ma non importa: contano le canzoni, in casi come questo.
Ivy Tripp è il terzo album di Waxahatchee.
Non sono più le canzoni che erano un tempo. È il primo album dell’età adulta, evidentemente.
I could stop praying for everybody, I’m just wasting my time, canta Katie ad un certo punto. Come se quella responsabilità e il relativo peso dello scrivere canzoni che ti trasformano in un’amica immaginaria fosse diventato improvvisamente un fardello del quale liberarsi.
Come se avesse capito che non sempre conviene mettere tutto di se stessi in una canzone. Bisogna imparare ad utilizzare la terza persona, talvolta.
Perché il tempo che passa non rende le cose intellegibili. Anzi, I confini si fanno sfumati. E la cameretta da adolescente problematica è ormai un lontano ricordo.
Canzoni di una persona che ha deciso di muoversi in avanti e non poteva essere altrimenti.
Ma quello che notoriamente rischia di trasformarsi “nel difficile terzo album” si trasforma invece in una nuova versione, più matura e consapevole, di una minuta cantante punk che suona e canta piccole meraviglie pop.
Cesare Lorenzi
Questo pezzo, come tutti quelli che leggerete in questi giorni, sarà pubblicato su carta nel numero speciale della fanzine No Hope, distribuito in occasione del No Glucose Festival il 21 e 22 maggio al Mikasa.
Qlowski live @ No Glucose – 22.05.15