
I Viet Cong non li ho visti , lo dico subito.
Gli Ought nemmeno, ho preferito loro i Replacements. Il giovane talento Tobias Jesso è stato cancellato dal mio schedule per far spazio all’ ennesimo concerto di Patti Smith. Con rammarico non ho visto i Chet Faker a cui ho preferito i Black Keys. Potrei andare avanti ancora a lungo e se mi avessero fatto vedere alcune di queste mie scelte solo qualche settimana fa, avrei forse stentato a riconoscerle come mie.
Tra band esordienti (o quasi) e quelle in circolazione da molto tempo mi è infatti usuale preferire sempre le prime.
In questa 15esima edizione del Primavera ho invece fatto alcune eccezioni che si sono rivelate poi piacevoli nella maggior parte dei casi.
Forse a volte c’e’ bisogno di sedersi e guardarsi un attimo indietro, non per riavvolgere un nastro nostalgico (lungi da me), ma semplicemente per ricordarsi da dove si viene e magari per cogliere con maggiore consapevolezza dove si è adesso e dove si ha desiderio di andare, musicalmente parlando.
Primavera is Fifteen, dicevano ormai da molto tempo gli organizzatori. Il Primavera si affaccia all’età adulta e forse ha desiderio anch’esso di guardarsi un po’ indietro. Le reunion in realtà sono sempre state di casa a Barcellona ma quest’anno ha tutto una parvenza più seria e le occasioni per vari “rewind” sono veramente tante.
Ad oggi non mi sono lanciato nella mischia di coloro che criticano il Primavera (“non è più quello di una volta…troppo caotico…alcuni main event sono discutibili”…etc etc). O meglio riconosco che tutte le affermazioni hanno un fondo di verità ma la tal cosa non ha ancora superato il piacere fisico ed emotivo di passare da un palco all’altro come un bambino immerso per la prima volta in un parco Disney.
Insomma , mi diverto ancora..perchè i Festival musicali sono fatti per divertire, è tutto qui alla fine.
Personalmente leggo sempre volentieri le classiche cronache : Day 1, Day 2, Day 3 , ma le lascio a testimoni più autorevoli del sottoscritto.
Le rigide regole del “fiver” impongono invece una scelta di 5 momenti/canzoni
Ma ricollegandomi all’inizio il mio inganno è proporre 2 cinquine: la prima legata ai Rewind e la seconda ai Forward.
Poi ognuno saprà se schiacciare o meno il proprio personale Play
REWIND
1) SLEATER KINNEY – No cities to love
Il Primavera sancisce, sempre che ce ne fosse bisogno, che il 2015 è l’anno delle Sleater Kinney.
1 ora e 15 .minuti di energia pura e uno dei concerti che si può sicuramente considerare tra i migliori della 3 giorni.
Corin Tucker e Carrie Brownstein si fanno assist a vicenda con la voce e non sembra affatto che siano state lontane per tanto tempo.
Ma è soprattutto la figura che si staglia al centro del palco quella che si impone con più carattere.
La ritmica portata da Janet Weiss è devastante. La pedana della batteria è leggermente avanzata proprio a risaltarne l’importanza.
Vecchie hit si alternano a momenti dell’ultimo album.
Nell’unico momento di rapporto con il pubblico (per il resto 75.minuti di musica tirata, con quasi tutti i brani attaccati l’uno all’altro in successione, senza un momento di sosta) Corin Tucker dice che sono state fortunate a vedere il live di Patti Smith (sullo stesso palco 3 ore prima) e che si sentono praticamente rinate e rigenerate.
2) PATTI SMITH – Free Money
Difatti vedere un concerto di Patti Smith equivale ad un rito, un po’ come vedere Alan McGee che mette su i dischi al Covo. Sai che non accadrà assolutamente nulla di sorprendente, ma ci stai e ti diverti. Alla vigilia la presenza a Barcellona era ancora meno sorprendente in quanto si conosceva già anche la scaletta. Patti Smith presentava “Horses” disco targato 1976. Sembra incredibile che siano passati 40 anni per questi brani (proposti nella stessa successione del disco, come rito impone).
Tutto risulta ancora attuale a testimonianza che si sta assistendo all’ omaggio ad uno dei dischi più importanti del rock.
Tornando al palco,o meglio al rito, anche visivamente tutto è uguale: stessa giacca, stesso gilet, stessi sputi, stessi musicisti tra cui spicca come sempre Lenny Kaye. Sono sempre gli stessi anche i proclami per un futuro migliore. Altri rischierebbero di risultare patetici, Patti Smith no. Uno dei live più intensi e sinceri di questo Primavera arriva da una signora di 68 anni. Chapeau.
3) JULIE RUIN – Ha Ha Ha
Ammetto di non avere mai seguito molto da vicino l’era delle Bikini Kill e poco di più quelle di Le Tigre. Il mio interesse per Kathleen Hanna viene soprattutto dal bellissimo documentario The Punk Singer di cui si è parlato egregiamente anche su queste pagine e dove si narrano le vicissitudini artistiche e soprattutto di vita di Katlhenn Hanna colpita da una rara malattia che la costrinse a ritirarsi dalle scene. Come candidamente spiegava lei stessa davanti alla camera, ora le condizioni sono migliori ma la malattia può colpirla all’improvviso e organizzare un intero tour è impresa molto difficile (vedi cancellazione dello scorso anno proprio al Primavera).
Venendo al palco, per quello che ho visto nel secondo giorno del festival (proprio abbandonando gli ultimi minuti del live di Patti Smith) Kathleen Hanna è in piena forma ed è bellissima, una sorta di Sophie Marceau venuta su a punk e non con”Il Tempo delle Mele”. Stesso giudizio per la sua fedele bassista Kathi Wilcox. La Hanna – dall’alto dei suoi 46 anni – si esibisce in danze sfrenate e capriole sul palco forse proprio a voler comunicare il suo momento positivo. Tra un salto e l’altro c’e’ tempo per frasi manifesto del tipo: “La rivoluzione sarà al femminile o non sarà rivoluzione” .
Di sicuro uno splendido ritorno sulle scene, da cui i Julie Ruin mancavano da mesi.
4) RIDE – Leave them all behind
Anche in questo caso non vado da fan dello shogaze, ma da semplice curioso.
Lo stesso approccio mi aveva portato lo scorso anno a godermi il live degli Slowdive e anche questa volta durante il concerto dei Ride provo sensazioni (positive) simili.
Un amico giorni fa scriveva che Andy Bell è finalmente libero dalla schiavitù degli Oasis e Beady Eye e a vederlo sul palco del Primavera , sembra proprio così.
Ma è il volto sereno e spesso sorridente del lead vocal Mark Gardener a colpirmi di più.
2 enormi pedaliere per lui e altre 2 per il suo compagno e il suono dei Ride scorre potente e in una scaletta che è una sorta di best of da Seagull a Ox4.
Leave the all behind è quasi inevitabilmente la canzone di ingresso che scalda subito l’atmosfera.
Solo il tempo potrà dire se questa reunion è cosa seria (in stile Blur per intenderci)
opure se un mezzo bidone. Intanto rimane il ricordo di 90 minuti molto piacevoli
5) THE REPLACEMENTS – Bastards of Young
Ai Replacements servono 20 minuti buoni per partire. Inizialmente con Takin a Ride esaltano subito il pubblico, ma nei pezzi successivi Paul Westerberg mi appare stanco e in un paio di occasioni stenta anche con i testi.
Poi con la cover dei Jackson 5 “I want you back” il buon Paul si toglie la giacchetta a vento color vomito indossata fino a quel momento e sembra dire “Ok, ora iniziamo a suonare veramente”e il concerto in effetti prende il volo inanellando un classico dietro l’altro tra cui spicca a mio gusto Bastards of Young
Sul lato estetico, invidiabile la forma fisica di tutti e sempre impressionante è la somiglianza del bassista Tommy Stinson ad un Sid Vicious 50 enne se fosse ancora su questa terra.
Al termine mi rimane però una sensazione di “vecchio”, al contrario non provata nei live descritti sopra. Forse questo è uno dei casi dove il tasto “rewind” poteva anche non essere spinto, lasciando la musica dei Replacements all’epoca che a loro appartiene. Ma ovviamente si parla di sensazioni personali, in quanto il pubblico (numeroso) sembrava davvero entusiasta.
Rimane ugualmente intaccata la mia personale simpatia per uno dei primissimi gruppi incontrati da adolescente e con il quale sono cresciuto.
FORWARD
1-BENJAMIN BOOKER– Wicked Waters
Si presenta nel classico trio : chitarra/basso/batteria.
I primi 15 minuti di live non mi convincono. Un inizio scaletta tiratissimo appiattisce un po’ la voce di Booker ed il suono è simile ad altre centinaia di band in circolazione.
Ma a concerto avviato, quando i ritmi virano sul blues e sul soul, le venature black saltano fuori e mi esaltano pienamente. L’unico difetto che gli si può imputare è che forse non ha ancora chiara la sua direzione. Ma tanto di cappello ad un ragazzo di 25 anni (di base a New Orleans, altro punto a suo favore) che con l’aspetto fisico che si ritrova, se scrivesse 2 ballate romantiche potrebbe essere sui mass media di mezzo mondo, ma la cosa sembra non interessargli affatto (per ora).
In ogni modo se ne sentirà parlare a lungo.
(le cronache riportano anche Patrick Carney- batterista dei Black Keys – presente tra il pubblico)
2- SYLVAN ESSO – Coffee
Chi non è affine ad una elettronica raffinata con voce al femminile, può lasciare perdere queste righe. Io al contrario ci casco spesso (vedi Polica, per stare su un esempio recente) e avevo anche inserito l’omonimo disco d’esordio dei Sylvan Esso nel mio personale best 2014.
Anche dal vivo il duo del North Carolina mi convince a pieno. Solo synth (Nick Sanborn ex Megafaun) e voce (una grandissima Amelia Meath, tutta da scoprire) , ma riescono nel non facile compito di riempire pienamente il main stage del Primavera. La voce e le movenze della Meath sono tra le cose più gradevoli che mi porto a casa dall’intero festival.
3 – THE HOTELIER – An introduction to the album
Il cantante Christian Holden mette le mani avanti dichiarando ad inizio concerto che la band è stanchissima venendo da un tour di un mese in tutta Europa, tour che vede gli impegni al Primavera proprio come ultimi atti prima di tornare negli Stati Uniti.
Io li vedo al Parco della Ciutadela, negli eventi “off” del festival ma che quasi da soli meriterebbero quasi il viaggio (Cheatahs,Ex Hex, Soak, Sean Lennon, Twerps, Hiss Golden Messanger) solo per citare alcuni nomi che si sono alternati in questi giorni per concerti di 30 minuti offerti gratuitamente ai passanti)
Tornando al quartetto del Massachussetts le scuse sembrano rivelarsi di circonstanza. Assisto a 30 minuti di buon rock in stile emocore che mettono gli Hotelier tra le band da ricordare nella mia 3 giorni.
4- TWERPS – Back to You
Lo scorso anno le mie attese per i Real Estate furono in gran parte disilluse; troppo fiacchi per riempire le dimensioni dei grandi palchi del Primavera.
Memore di questi ricordi, temevo la stessa cosa per i Twerps ma , al contrario, questa volta lo stupore è in positivo. Il tutto grazie ad una base ritmica che ben sostiene la leggerezza del jangle pop proposto dal quartetto australiano. Gradevolissimi i canti e controcanti di tutti i componenti della band tra cui spicca in voce e dolcezza la chitarrista Jules McFarlane. Sicuramente in spiaggia a Marina di Ravenna ci sarà da divertirsi
5 – STRAND OF OAKS – Heal
In realtà negli States circola già da qualche anno, ma il successo è arrivato con l’album “Heal” del 2014 Sembra sincero Timothy Showalter quando dichiara dal main stage del Primavera che sta passando i mesi più belli della sua vita e che non avrebbe mai pensato che le “sad stories” scritte nella sua camera potessero interessare al pubblico. Il progetto Strand of Oaks non aggiunge nulla di particolarmente nuovo alla reinterpretazione della tradizione rock americana, ma provo forte simpatia verso questo 32enne di Philadelphia che ha rischiato di lasciarci le penne 2 anni fa dopo un gravissimo incidente stradale.
Showalter appare infatti più poetico e delicato di quello che il suono potente della sua band potrebbe indicare, parvenza falsata anche dal suoi look, tra i più tamarri visti in circolazione negli ultimi anni. Anche lui sarà tra i nomi presenti al Beaches Brew in partenza oggi.
Venendo al faceto, registriamo tra il pubblico la presenza anche di Gigi Datome (Boston Celtics) a cui va la palma come miglior sportivo indie italiano. E poi il solito panorama vario delle t-shirt indossate dal folto pubblico (ma inferiore alle ultime 2 edizioni sembra). Tra le più originali citiamo quella con il volto di Charlie Manson e la scritta “Je suis Charlie” e quella degli Smiths riportante il volto di Will Smith con famiglia.
Ma il premio come uomo dell’anno va al tizio che ha curato l’acconciatura di Julian Casablancas.
Un lavoro simile non si vedeva dai tempi dei Sigue Sigue Sputnik
E ora è già in partenza la macchina per il 2016, sembra con l’innovativo cambio formula di 4 giorni
(1-4 Giugno) . In settimana partirà la prevendita e anche tutta questa macchina in fin dei conti altro non è che un semplice rito. Ad ognuno di noi la libera scelta se aderire o meno.
Massimo Sterpi