A beginners’ guide to Elliott Smith – HEAVEN ADORES YOU di N. Rossi (2014)

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Non ricordo più da quanto tempo fossi al corrente di questo film, certamente da mesi. Quando a inizio aprile di quest’anno leggo sul sito dei distributori “If you don’t see your theater listed below, click here to request a screening”, non mi lascio sfuggire l’occasione, scrivo e suggerisco il Biografilm Festival e la Cineteca di Bologna. In risposta mi scrive subito Mark, nientemeno che il President & Chief Operating Officer della Specticast e mi chiede maggiori info. Chiedo lumi al prof. Roy Menarini su chi contattare presso festival e Cineteca e gentilmente mi risponde (grazie ancora!). Fornisco dettagli ulteriori. A distanza di qualche settimana torno sulla stessa pagina e vedo finalmente la bandierina a indicare che ci sarà una proiezione italiana, clicco e… meraviglia, Bologna@Biografilm!
Premessa: ho incrociato la musica di Elliott Smith la prima volta nel 1997; mi trovavo in UK -a Leicester per la precisione- per un periodo di studio che sarebbe durato 1 anno. Quelle giornate piovosissime, la frustrazione di non potermi permettere grosse distrazioni (ero la sola straniera in un corso interamente frequentato da madrelingua, mica potevano aspettare me!), il disagio di trovarmi in un contesto abbastanza diverso da quello a cui ero abituata, fanno si che inizio a frequentare il sabato il negozietto di dischi del centro (Rockaboom si chiamava e si chiama ancora; che dio -o chi per lui- abbia sempre in gloria i ragazzi che lo gestiscono, perché ci ho scoperto diverse perle del periodo, su tutti i cataloghi K records e Domino, ma anche Southern e Drag City).
Il primo cd che mi capitò per le mani della discografia smithiana fu Either/or e fu sdilinquimento al primo ascolto! Da quel disco sono andata a ritroso a scoprire i precedenti, più acerbi di quello che tanto mi aveva colpito, ma comunque assai seducenti. Nella mia memoria, quel periodo è legato indissolubilmente a questo disco, a Mezzanine dei Massive Attack, a The normal years dei Built to Spill, a Lost Blues and Other Songs dei Palace Brothers e ai concerti organizzati dal mio amico Ian da Sunderland, che mi regalava le cassettine della sua musica preferita, e di cui poi avrei perso le tracce completamente (big hugs, my friend, wherever you are!).
XO l’ho preso sulla fiducia, ma non mi sono trovata a mio agio negli arrangiamenti del disco come con l’asciuttezza di Either/or. Più tardi sarei arrivata al punto di non acquistare Figure 8 (pur avendolo ascoltato, grazie alla indimenticata Phonoteca bolognese).
Poi 2 anni fa circa trovo in biblioteca la biografia dell’artista di Benjamin Nugent e decido di leggerla (prendendo le info con le molle; sapevo che il racconto non era di prima mano e diverse persone della cerchia del musicista si erano rifiutate di parlare). Da quel momento è tornata di prepotenza la passione per questa figura, grazie anche ad una lettura più approfondita dei testi delle canzoni. In breve acquisto tutta la pubblicistica e i dischi mancanti, inclusa la produzione completa degli Heatmiser.
Pochi giorni fa la tanto attesa pellicola!

Il film si apre con due eventi che segnano il percorso del musicista: la partecipazione del 1998 alla cerimonia degli Oscar e, a soli 5 anni di distanza, la tragica e violenta morte nella sua casa di L.A. Il primo evento, si suggerisce, porterà in qualche misura al secondo. Elliott si descrive dopo questa partecipazione “I’m the wrong kind of person to be really big and famous”: la sua etica era fondamentalmente punk e DIY, non poteva certo durare nella mecca del cinema (e del fake)!
Il film continua poi con il racconto degli anni giovanili -impreziosito da rare immagini familiari e della sua cerchia di amici-, anni (apparentemente) felici. I primi approcci con la musica, le prime band: Stranger than fiction, A murder of crows. L’evoluzione in Heatmiser e, dopo pochi anni, la fine brutale di quel gruppo, appena firmato il primo contratto con una major. Tutta la carriera solista, eccetto -inspiegabilmente- il doppio postumo New Moon. Inserite, tra un disco e l’altro, le voci di familiari (la sorellastra soltanto, in verità) e amici (musicisti, produttori, manager, ecc.). Abbondanti le registrazioni inedite, davvero succulente per i fan più accaniti. Mancano invece quasi del tutto le interviste al musicista e le poche riportate sono tra le più note e facilmente reperibili su youtube (niente in confronto a certe dichiarazioni che si leggono nella pagina Facebook So flawed and drunk and perfect still; cercatele, se vi interessa l’argomento). Si accenna soltanto al momento centrale della sua carriera: l’approdo agli studi di registrazione Abbey Road, di beatlesiana memoria, ovvero il sogno di una vita che si avvera! Fanatico di tecniche di registrazione per tutta la vita, l’episodio scivola via in pochi frame.
Il ritratto che ne esce è comunque vivido e a tratti commovente. Si soprassiede ai momenti più difficili di quell’esistenza: la presunta violenza subita da piccolo da parte del patrigno -che tanto spazio ha trovato nei testi delle canzoni-, gli ultimi anni di tossicodipendenza e di incapacità a reggere il palcoscenico (diversamente da quanto avveniva in precedenza). Giusta la collocazione ad inizio film della scomparsa del musicista, per non dare spazio a gossip e a curiosità morbose -che pure ci sono, non si può negare; soprattutto per le circostanze poco chiare in cui è avvenuta-. L’intento del regista, nonché di familiari e amici, ritengo che fosse -giustamente, a conti fatti- quello di traghettare verso il futuro la musica di Smith, più che descriverne la figura pubblica.
Consigliati il dvd, disponibile sul mercato a giorni, e la lettura della biografia ragionata e interpretazione dei testi Torment Saint: the life of Elliott Smith del prof. William Todd Schultz (solo in v.o.).
Paola Bianco


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