
Ormai mi limito ad alzare le sopracciglia. Le news in ambito musicale mi fanno quell’effetto, al massimo. “Uscirà un nuovo album di PJ Harvey il prossimo anno…..” mi parte il sopracciglio destro, per pochi secondi. “Hai visto il nuovo video di M.I.A., quello con i profughi….ha alzato un polverone in rete….” via di sopracciglio sinistro.
“Cazzo. Hai sentito David Berman ha scritto una nuova canzone….” David Berman quello dei Silver Jews?? Ecco, fermi tutti. Lasciatemi mettere da parte, per un momento solo, il meschino cinismo che riservo a tutte le novità e chiacchericcio indistinto. Berman?? Davvero??
Una notizia che altro che le sopracciglia, dai.
I was young
For a very long time
I was dumb
But the pleasure was mine (The Arcs – Young)
Ci pensavo poche settimane fa. Lo spunto me lo aveva dato Arturo su queste stesse pagine. Parlava dei famigerati novanta e di quali dischi davvero gli fossero rimasti appiccicati addosso e di quanto fossero diversi (i suoi dischi) da quelli che sono diventati un po’ l’emblema dell’intero decennio. Ci ho riflettuto un attimo e mi sono tornati in mente proprio i Silver Jews di David Berman. American Water è uno di quei dischi da isola deserta per me e che nessuno tira fuori per ricordare i buoni tempi andati, naturalmente.
È stata una buona occasione per andarlo a riascoltare, dopo tanto tempo.
Ci sono canzoni che non hanno età. American Water lo ascolti e potresti immaginarti sia un disco degli anni ‘70. Oppure una novità appena uscita sul mercato. Un disco classico, insomma.
I asked the painter why the roads are colored black.
He said, “Steve, it’s because people leave
and no highway will bring them back.” (Silver Jews – Random rules)
I nostri gusti sono influenzati dal contesto. Ci sono dischi che piacciono perché ti consentono di allacciare rapporti sociali e di appartenenza di specie.
E poi ci sono dischi che funzionano anche decontestualizzati. Sono quelli che rimangono.
Penso che abbia molto a che fare con la qualità della scrittura.
David Berman scrive canzoni fantastiche. Nonostante sappia suonare a malapena la chitarra e con la voce sono piú le volte che stecca di quelle che ci piglia. Come se avesse mai avuto importanza questa cosa qui. Come se Dylan o Leonard Cohen sapessero cantare.
All my favorite singers couldn’t sings (Silver Jews – We are real)
L’ultimo album dei Silver Jews è del 2008. Il nome di Berman ogni tanto salta fuori per vicende letterarie. Ha pubblicato qualche libro. Fa delle letture pubbliche. Ma con la musica ha chiuso.
Tutto questo mio entusiasmo è poco giustificato da una canzone che non è neppure interamente sua ma scritta in compagnia di Dan Auerbach. Uscirà su un 10 pollici a nome The Arcs che vedrà la partecipazione di Dr. John e di uno dei Los Lobos.
È un blues surrealista decisamente riuscito che non sposta di una virgola nulla e non ne ha neppure l’ambizione. È una canzone di David Berman, però. Va celebrata come si conviene.
La combinazione con Dan Auerbach (The Arcs ma sopratutto Black Keys, se a qualcuno è sfuggito) funziona sorprendentemente.
Auerbach merita due parole a parte. I Black Keys sono diventati una cosa troppo grossa e sembra che ormai si limiti a gestirla. L’ultimo album è un disco dignitoso quanto può esserlo un album di una band che deve riempire gli stadi. Ma lui si ritaglia spazi fatti su misura. L’ho visto suonare la chitarra con Dr. John sul palco. Al pieno servizio di quest’ultimo e ci mancherebbe. Con un’umiltà e una devozione alla causa che non possono lasciare indifferenti.
Alla fine è una canzone che uscirà su di un disco stampato in poche copie per il Record Store Day. Un brano destinato a non lasciare tracce. Come se questa cosa avesse davvero importanza. Come se davvero quello dei Radiohead fosse il miglior album degli anni novanta.
THE ARCS – Young
SHE DEVILS – Come
Surf e gli anni sessanta. Pop esoterico e Nancy Sinatra. Sono in due: un ragazzo e una ragazza, canadesi di Montreal. Questa è una canzone che ha magia ed ipnotismo, quanto ne aveva Lisa Germano accompagnata dalla chitarra di Howe Gelb, secoli fa. Singolo di debutto spaziale.
M. WARD – Girl From Conejo Valley
Classicamente M. Ward, ne più ne meno. Come se 4 anni non fossero mai passati. Sicuri di quello a cui si va incontro, sicuri di non venir delusi. M. Ward si muove sul confine tra pop d’autore e rock classico ma riesce sempre, in qualche modo, ad evitare le banalità. Insomma si fa ascoltare sempre e comunque e questa è una canzone che sarebbe un sogno accendare la radio e sentirla uscire dagli autoparlanti.
CAVERN OF ANTI-MATTER – Melody in High Feedback Tones
Tim Gane è uno di quelli che non ha mai tradito. Tim Gane è uno di quelli che mi fa ascoltare musica distante dai miei ascolti abituali. Grazie a lui ho in bella mostra dischi nello scaffale di casa che forse non avrei mai comprato. Tortoise, Chicago Underground Trio e qualche altro album a metà strada tra jazz sperimentale ed elettonica che ora non ricordo.
Tim Gane ha suonato la chitarra in due dei miei gruppi preferiti in assoluto: McCarthy e Stereolab.
Cavern of Anti-Matter pubblicheranno il primo album vero e proprio all’inizio del prossimo anno. Ci suoneranno Bradford Cox, Sonic Boom e un tizio dei Mouse On Mars.
Cavern of Anti-Matter è la nuova band di Tim Gane.
Se proprio devo riporre aspettative da qualche parte ho deciso di farlo qui.
Questa canzone è letteralmente sublime, mi pare.
WALTER MARTIN – Amsterdam
Walter Martin è stato il cantante di The Walkmen, un gruppo che ha lasciato qualche buon disco in eredità ma nulla più. Bizzarra la strada scelta per il primo disco solista, invece. “Canzoni per bambini” si è detto. Amsterdam è il brano deputato a fare da apripista: due accordi due di piano e voci che finiscono per rincorrersi e ritmica appena accennata. Ne esce una canzoncina deliziosa che mette di buon umore mentre con il piede si finisce per tenere il ritmo.
CESARE LORENZI