Fugazi: Great Cop (In On The Kill Taker, 1993)

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You’d make a great cop: magari, anche perché tutte le persone di cui sono stato follemente e inutilmente innamorato nella mia vita – sono solo due in realtà, o forse una sola – sono poi finite a vivere felici e contente con dei tipi umani che somigliano in maniera impressionante ai poliziotti della Digos sotto copertura che si vedevano in zona universitaria durante gli anni 90.
Parlo di quei personaggi, sempre ultra quarantenni o comunque piuttosto attempati, che erano stati da lungo tempo smascherati nella loro funzione, ma che per obblighi di servizio si ostinavano a comparire comunque, contribuendo alla messa in scena del teatrino dell’assurdo politico nel quale ci muovevamo tutti.
Li vedevi caracollare ai margini dei cortei, inguainati in quella che era la versione elaborata dentro le loro caserme del presunto look da manifestante alternativo del momento: tatuaggi tribali a caso, anelli e orecchini posticci, barbetta brizzolata, camicie o canottiere hippie con fantasie afro o orientali, giubbotti di pelle sdruciti, pantaloni militari, pretenziosi e vistosi occhiali da sole degni del peggior Bono Vox sollevati a coprire le immancabili incipienti stempiature. Sbirro alternativo couture, in poche parole. Ovviamente erano patetici e illusori tentativi da serie TV a basso budget di mimetizzarsi con la fauna che dovevano tenere sotto controllo: se ne accorgevano tutti tranne loro, che invece sembravano sempre molto sicuri del loro travestimento. Si avvicinavano sciolti, chiedendoti sigarette, cercando di strapparti un commento o un’informazione, approssimando in modo grottesco e forzato un gergo che loro pensavano fosse il linguaggio politico giovanile radicale du jour.
Era evidente il loro compiacimento nel vestire quelli che loro pensavano fossero i panni di qualcun altro, nell’impersonare con un machismo vagamente e inconsapevolmente omoerotico l’immaginaria figura di una diversa tipologia di combattente di strada: del resto per loro è sempre stata una questione di menare le mani, una fascistissima e maschia tenzone tra guerrieri.
Sembravano contenti di sperimentare, anche se solo part-time, un diverso stile di vita che tra l’altro consentiva loro di indulgere in certi vizi alla luce del sole. Nel migliore dei casi erano visti come degli sfigati fatti e finiti, ma ormai facevano parte dell’arredo urbano dei luoghi e delle iniziative dei movimenti para-universitari di quel decennio.
Per il gioco delle parti della politica extraparlamentare qualcuno ci scambiava anche delle chiacchiere, un po’ per prenderli per il culo e un po’ perché in qualche modo ci si era affezionati alla loro presenza: in ultima analisi sembravano una testimonianza tangibile, seppure illusoria, che a qualcuno facevi un filo di paura, anche se questo qualcuno non sembrava proprio una cima, soprattutto se quelli erano i suoi emissari.

Durante i miei anni giovanili di attivismo non sono mai stato affiliato ad alcun gruppo o movimento specifico, anche se partecipavo volentieri a diverse iniziative e anche ad alcune azioni di disturbo dell’ordine costituito, chiamiamole così.
La mia natura di cane sciolto mi permetteva però di avere un punto di vista particolare sul quel mondo che vedevo dipanarsi sotto ai miei occhi in tutti i suoi rituali e le sue dinamiche, quasi fosse un set cinematografico: tra i figuranti non mi sfuggivano di certo loro, i nostri narcisi osservatori al servizio dello Stato. Dal loro atteggiamento si capiva chiaramente che si sentivano tutti figli di Serpico, anche se al massimo erano i nipotini di Cossiga: questa illusione di coolness li rendeva ancora più ridicoli, forse anche umani, ma alla fine uno sbirro è uno sbirro, una zecca è una zecca e di questo fatto nessuno si dimenticava, da una parte e dall’altra.
In verità stavano vincendo loro, avevano già vinto, e tutto quello che noi potevamo fare per reagire era esercitare il nostro sarcasmo, l’unico strumento di “lotta” che ci sarebbe rimasto qualche anno dopo, ma ancora non lo sapevamo.

Tornando all’incipit vi chiedo quindi di aiutarmi a capire la ragione di questo strano fenomeno che accomuna i miei fallimenti – conosco solo quelli – relazionali, incarnati dalla categoria estetica dello sbirro o simil-sbirro infiltrato, mia eterna e forse non troppo involontaria nemesi.
Cosa rivela tutto questo di me? Cosa dice delle mie passioni e delle persone che le hanno alimentate? Lo capirò forse durante il rapido montaggio della nostra vita che, pare, tutti noi riceviamo in dono in punto di morte per dare un senso al nostro cammino in questa valle di lacrime? Non lo so, rimane il fatto che In On The Kill Taker e in particolare questo pezzo mi riportano sempre a quei giorni, quando tutto sommato i poliziotti in incognito mi facevano molta meno paura di adesso.

Ferruccio Quercetti

FUGAZI – GREAT COP

Rimaniamo sul tema con altri quattro brani, visto che fiver deve essere e perché è sempre un piacere:

THE DICKS – HATE THE POLICE

DEAD KENNEDYS – POLICE TRUCK

BLACK FLAG – POLICE STORY

RAW POWER – STATE OPPRESSION


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