Tell me, do you feel alive??
Il fatto che se lo chieda uno come Beck, in un certo senso è rassicurante. La domanda è posta immediatamente, tra le pieghe della prima canzone del nuovo album. Dimmi, ti senti ancora vivo?
Arrivati ad un certo punto diventa inevitabile domandarselo, alla soglia dei cinquanta diventa una sorta di passaggio obbligato, posso immaginare.
Il disco di Beck mi è piaciuto perché è un album che si pone delle domande, in qualche caso anche scomode, di quelle che ognuno di noi tende a procrastinare all’infinito. E risponde nell’unica maniera possibile, in fondo. Come è lecito attendersi da un figlio della California come lui, con lo sguardo rivolto sempre avanti. Ci spara in faccia una dose di positività esagerata, senza diventare mai stucchevole. Una maniera per dire che è ora di mettersi il vestito buono, prepararsi ad uscire, lasciare da parte la negatività e celebrare la vita e di conseguenza la musica.
Non mi veniva in mente nessuna canzone che potesse riassumere i buoni propositi di inizio anno che ognuno di noi è solito fare ad inizio anno meglio di questa.
BECK – Colors
Un episodio di qualche mese fa: un concerto, un piccolo club. Sul palco uno che negli anni novanta suonava nel miglior gruppo sulla faccia della terra, i Pavement. Non una roba qualsiasi, insomma. I commenti di tre ex-giovani (tra cui il sottoscritto, naturalmente), coetanei di Spiral Stairs, evidentemente fan della prima ora, sulla prestazione del gruppo erano un misto di cinismo, indifferenza e tracotanza. “Ma dite che alla tipa che balla in quel modo piace davvero?” -indicando una ragazza, presa bene, sotto il palco. “No, quella viaggia con la band”. “Cazzo, sembra una band del dopolavoro ferroviario”…..e via di questo passo.
Una volta giunto a casa mi sono accorto che la percezione della serata era stata completamente differente, in particolare per i ragazzi più giovani. Ho capito che il problema non era Spiral Stairs, che in fondo aveva fatto un concerto discreto, allo stesso modo non era una questione che riguardava l’entusiasmo di quelli che ai tempi dei Pavement probabilmente non erano ancora nati ma esclusivamente dell’atteggiamento fastidioso che avevo tenuto per tutta la serata. Il problema ero io, insomma.
All the colors, see the colors, make the colors, feel the colors
She says
See it in your eyes
All the colors, see the colors, make the colors, feel the colors
Tell me, do you feel alive?
Questa cosa mi ha fatto pensare e non è un caso che ne scriva ora, a distanza di qualche mese. Nel frattempo il nuovo album di Beck non è più così tanto nuovo ma nonostante sia un disco “facile”, di consumo frivolo, da ballare cucinando ha continuato a rimanere stabile tra i miei ascolti preferiti ed è finito nella mia personale top 10 di fine anno (che devo ancora decidermi a fare, tra l’altro). Perché giunge un tempo dove le foto con il broncio non vanno più bene. Il bianco e nero stufa.
La musica ha un valore che è più grande di quello del singolo individuo, è il frutto dello sviluppo di una comunità (anche se una canzone nasce in una cameretta davanti ad un pc) e tutti i nostri “self” vanno lasciati in disparte. Anche se ci costa doverlo fare. La musica, quello che rappresenta, quello che ha significato nella nostra esistenza merita uno sforzo genuino che è una questione di rispetto in particolare verso noi stessi. Il disco di Beck mi ha ricordato tutto questo e non è poco.
TY SEGALL – The Main Pretender
Ho perso il conto, sinceramente. Non so davvero più raccapezzarmi tra tutte le nuove uscite di Ty Segall, tra singoli, EP, progetti paralleli e quant’altro. Quello che mi passa tra le mani lo ascolto sempre, però e spesso finisco per acquistarlo. Una canzone come questa, che anticipa un nuovo album, non può non piacermi, del resto. Ty Segall ha le stigmate del rock’n roll ben impresse nel proprio DNA e non sbaglia un colpo, mai. Neppure se tentasse di farlo apposta.
SHAME – One Rizla
Lo so, ne abbiamo già parlato. Ma questi sono dettagli quando ci prende la fotta giusta per qualcuno. Questa canzone è un SINGOLO. Punto.
Ha un giro di chitarra sentito mille volte, un sapore inizio anni ottanta manco fosse una canzone dei primi Bunnymen purgata dall’anima dark. Il cantante ha una faccia da schiaffi degna dei primi Oasis ma un cervello più fino. Ne viene fuori una canzone da cantare a squarciagola, indice sollevato ad indicare le stelle, come se fosse tutto al posto giusto e tutto avesse un senso.
GRAHAM COXON – Falling
Questa è magnifica. Davvero. Dimenticatevi i Blur e tutto il resto. E’ una ballata classica che regala brividi dal primo all’ultimo istante. Scritta da Luke Daniel, un amico di Graham che si è tolto la vita poco dopo averla composta. Uscita in digitale e su 7 pollici con una parte dei proventi destinati alla Campaign Against Living Miserably. Il nome di Epic Soundtracks mi si para davanti e davvero non mi viene in mente nessun accostamento migliore per fare un complimento a qualcuno. Brividi.
INSECURE MEN – Subaru Nights
Lo devo confessare: i Fat White Family non mi hanno mai colpito più di tanto. Tant’è che quando ho letto di questo progetto di Saul Adamczewski, nato come passatempo o poco più, sono partito leggermente prevenuto. Invece in questo caso l’uomo è andato proprio in una direzione che ha finito per toccare le corde del mio personale gusto: sparita l’irruenza punk un po’ caciarona, mood riflessivo, strumentazione minimale e registrazione low-fi. Canzone sostanzialmente pop ma con un retrogusto amaro, nessuna spensieratezza all’orizzonte, alla faccia dei buoni propositi.
Cesare Lorenzi