Troop zero è un piccolo film consigliatomi dall’amico Massimo Sterpi, impareggiabile firma “cinematografica” di questa pagina, e la gara per trovare degli aggettivi adatti a descriverlo è improba. Bislacco, buffo, commovente, divertente con un finale fantastico e la musica più bella del mondo a sottolinearlo (a mio contestabilissimo parere ovviamente).
Mi ha fatto sentire meglio.
Negli occhi della protagonista Christmas (!) la caparbietà e uno sguardo che non si pone limiti, che si spinge dove altri non sanno neanche si possa arrivare.
Quello sguardo come radici di alberi che si irradiano silenziose (beh, mica sempre silenziose) in mille imprevedibili direzioni diverse e di cui ritrovo quotidiano esempio nella giovane extraterrestre che condivide il mio spazio osservandone le incomprensibili traiettorie evolutive e capendoci molto poco o forse nulla.
Ma ringrazio il fato, Buddha, Dio, Alex Chilton, Liz Fraser o qualsiasi altra entità ultraterrena in cui si voglia credere per avermi portato a vivere quest’ avventura spaventosamente affascinante.

Con le consuete sinapsi irrecuperabilmente compromesse e immerse in un brodo primordiale dove anche l’avvistamento di arance e limoni sul banchetto dell’alimentari sotto casa gestito dal taciturno Samir mi porta a pensare agli Xtc più che a spremute o succhi mi sono piantato davanti al bidone dell’umido e, ragionando sulle molte fantastiche interpreti di cui ho avuto la fortuna di testimoniare la grandezza sotto un palco, il pensiero di due in particolare mi è salito alla mente un attimo prima di essere riassemblato dolorosamente da un suv che sparava “Andrà tutto bene” a volume irragionevole.
C’è stato un periodo che considero veramente fondamentale nel mio personalissimo tragitto ed è quello che va da fine anni 80 a meta degli anni 90.
Leggerezza e passione, entusiasmi mai più rivissuti in quella misura anche se sempre di piccoli Peter Pan stiamo parlando, in realtà fortunatamente condannati a non crescere mai, e a portarsi dietro un bagaglio di memorie che si riaccendono emotivamente a comando su una frase, una musica, una foto.
Ci sono condanne peggiori.
In quel periodo parve naturale sfidare il gelo albionico, mascherato da primavera solo per il calendario, per concentrare in pochi giorni una serie di concerti tale da farmi azzerare la salivazione ancora oggi e un pellegrinaggio incessante nei pagani luoghi di culto di noi adepti.
Fall, Moose, Mercury Rev, Ride, Catherine Wheel, Curve, Adorable, Moonshake e.. Polly.
Nelle analogiche tasche pre google note dei miei jeans trovava albergo un foglietto a quadretti dove era riportata una lunga lista di oggetti vinilici tra i quali accanto al nome Dry campeggiava fieramente un n. 9. Pazzo sì ma in buona compagnia.

In Neals yd ammirai le tavole da skate al piano superiore e mi incantai a riconoscere le firme sulla bassa volta di Rough Trade. Il commesso non batté ciglio alla mia richiesta inconsueta, album in versione elettrica ed acustica in tiratura limitata. Mi sembrava di investire sull’arca dell’alleanza praticamente.
Più tardi, sfuggiti per un pelo all’ipotermia, venimmo ospitati nell’aula magna della Ulu dove potei certificare la potenza e la promessa di quella giovane struccata in striminzito giubbotto di pelle dagli occhi dardeggianti e voce affatto titubante.

Dana Margolin ha corti capelli biondi e vive ancora a Brighton, vicina alla spiaggia.
Ha nella testa e nel cuore parole e suoni che rimandano a quando rumore e melodia si sposavano assumendo forme sempre nuove e dalle quali ci facevamo avvinghiare felici in un tempo lontano da tutta questa amarezza.

I don’t want to get bitter
I want us to get better
I want us to be kinder

Dana urla e sussurra testi dedicati o, meglio, intimati ad una She che non si sa se reputare fortunata o meno ad essere bersaglio di tale animosità ma forse l’importante è essere veicolo ed oggetto di cotanta passione che dell’indifferenza non sappiamo che farcene.
Proprio come le improbabili eroine di Troop Zero.

And I forget what I came here for
I forget what I stay here for
And I’m wasting your time

Perché una volta che saremo usciti da questa sospensione malsana è giusto che l’indifferenza e l’amarezza non trovino più domicilio qui. Abbiamo mille abbracci in sospeso, bottiglie da stappare, extraterrestri da osservare preoccupati ed estasiati sulla spiaggia di Brighton o nei parcheggi delle nostre periferie, non importa.

I don’t want to get bitter
I want us to get better

Massimiliano Bucchieri


Una replica a “I don’t want to get bitter, I want us to get better”

  1. Avatar dimaco

    Sphiga! Io ero a Reading ’93, e quindi P.J. Harvey non l’ho vista lì.
    Però ho visto Perry Farrell…

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