Si parte col muro di chitarre dei 𝐍𝐨𝐭𝐡𝐢𝐧𝐠, poi 𝐓𝐡𝐞 𝐍𝐞𝐰 𝐄𝐯𝐞𝐬 con “Whale Station”: jam estiva nata in Svezia mentre Ella leggeva ad alta voce “Whale Nation”, il poema eco-attivista di 𝐇𝐞𝐚𝐭𝐡𝐜𝐨𝐭𝐞 𝐖𝐢𝐥𝐥𝐢𝐚𝐦𝐬. Per questioni di diritti quei versi non compaiono: il testo è stato riscritto al volo. Parte spoken e scura, poi si apre in un groove funk più luminoso; dentro resta l’eco del libro: stupore, denuncia, la balena come metafora dell’ignoto.
Poi una nuova scoperta 𝐁𝐥𝐮𝐞 𝐙𝐞𝐫𝐨 e il power-pop dei 𝐑𝐚𝐭𝐛𝐨𝐲𝐬.
Nel cuore della puntata: speciale 𝐒𝐨𝐟𝐭 𝐂𝐞𝐥𝐥 / 𝐃𝐚𝐯𝐞 𝐁𝐚𝐥𝐥 / 𝐂𝐚𝐛𝐚𝐫𝐞𝐭 𝐕𝐨𝐥𝐭𝐚𝐢𝐫𝐞.
Dall’anti-cartolina domestica di “Where the Heart Is” ai synth fisici di 𝐃𝐚𝐯𝐞 𝐁𝐚𝐥𝐥 con 𝐆𝐞𝐧𝐞𝐬𝐢𝐬 𝐏-𝐎𝐫𝐫𝐢𝐝𝐠𝐞, fino alla Sheffield d’acciaio dei 𝐂𝐚𝐛𝐚𝐫𝐞𝐭 𝐕𝐨𝐥𝐭𝐚𝐢𝐫𝐞: desiderio sotto controllo, drum machine secche, paranoia da pista.
La capacità di 𝗗𝗮𝘃𝗲 𝗕𝗮𝗹𝗹 di trasformare elettronica, oscurità e melodie pop in qualcosa di pienamente fruibile è stata unica, complici le sue linee di synth inquiete che sembravano arrivare da una metropoli notturna, punteggiata di luci al neon e solcata da ombre lunghe. A farcelo piacere così tanto era quella (in)sana passione per l’elettronica sporca, ripulita dal suo gusto eccelso e spinta dalla costante voglia di spingersi sempre oltre, intrecciando suoni malinconici con una naturalezza che pochi altri hanno avuto. 𝗧𝗵𝗲 𝗔𝗿𝘁 𝗼𝗳 𝗙𝗮𝗹𝗹𝗶𝗻𝗴 𝗔𝗽𝗮𝗿𝘁, il secondo disco dei 𝗦𝗼𝗳𝘁 𝗖𝗲𝗹𝗹, è un viaggio negli eccessi, nelle fragilità e nell’estetica notturna tipica della band: sintetizzatori taglienti, atmosfere decadenti e un’intensità emotiva che nel tempo non ha smarrito un briciolo della sua forza. È un album che non si limita a raccontare il caos e le vulnerabilità, ma ci si tuffa dentro: un viaggio tra strade umide, confessioni sussurrate e melodie in bilico tra dolcezza e disastro, come se ogni brano narrasse una notte che non vuoi lasciar finire mai.
Finale dritto al punto: 𝐆𝐮𝐢𝐝𝐞𝐝 𝐁𝐲 𝐕𝐨𝐢𝐜𝐞𝐬 e 𝐒𝐨𝐫𝐫𝐲 in doppietta.
