Scovare roba che mi piace è una cosa che ancora mi rallegra.
Non è che mi interessi essere necessariamente il primo a scoprire un nuovo artista, un gruppo agli esordi, un disco magnifico.
Non tanto.
Quello che mi fa piacere, meglio mi appassiona, è il fatto di arrivare ad una cosa senza che sia stato qualcun’altro a fornirmi l’imbeccata.
Va da se che per l’epoca in cui viviamo, dove l’informazione ti racconta oggi cosa accadrà domani declinando tutto al futuro, l’evento è ormai merce rara.
Anzi rarissima.
Quindi quando questo si verifica, la faccenda è da tenere nella dovuta considerazione e va pure adeguatamente celebrata.
Qualche settimana fa è successo.

Nel pacco di cd che un distributore ha la buona creanza e la pazienza di inviarmi ogni mese era infilato un disco del cui possibile contenuto ero completamente all’oscuro.
Un cd dalla copertina buffa e un po’ infantile, pubblicato da una etichetta discretamente nota che io nella mia becera ignoranza da indie kid bianco di mezza età conoscevo solo per aver dato alle stampe un paio di lavori di Anika, dischi che mi mandarono discretamente fuori di testa qualche tempo addietro.
Normale non fossi abbastanza informato sull’etichetta. Stando alla Treccani dei nostri giorni, la Stones Throw Records è difatti una label indipendente con base in California, che si occupa di musica hip hop.
Lascio a quelli che un po’ mi conoscono il compito di decifrare quale tra gli aggettivi indipendente, californiano ed hip hop, a causa delle mie ristrette vedute in campo musicale, mi terrebbe normalmente alla larga da un disco del genere.
Salvo poi riesumarne affannosamente l’ascolto al primo sospiro di Pitchfork.
Non me la tiro, conosco i miei limiti e non mi piace nasconderli. E tengo a dirlo, una volta per tutte: NON SONO UN CRITICO MUSICALE, anche se qualcuno si ostina a considerarmi tale, utilizzando peraltro la definizione di solito come fosse una clava da abbattermi in testa.
Quindi non mi sento per nulla in dovere di ascoltare tutta la musica che mi passa per le mani.
Però sono uno che alla musica tiene.
Perciò in assenza di comunicati stampa o note biografiche sono andato a cercare notizie.


Detto che siamo tutti sufficientemente scafati per tarare con le dovute cautele le descrizioni con cui i musicisti definiscono il proprio lavoro, quello che ho trovato ha immediatamente catturato la mia attenzione.
Vex Ruffin’s music is simple: an untrained punk musician who uses a few basic instruments in uncomplicated ways.
Semplice, inesperto, punk, strumentazione basica usata in modo non complicato.
Insomma, Vex, o chi per lui, le ha azzeccate proprio tutte per incuriosirmi.
Ci mancavano solo un paio di aggettivi.
Tipo bassa fedeltà e attitudine.
Quelli li ho aggiunti io, dopo aver ascoltato il disco.
Che da ex ragazzo bianco della annoiata borghesia bolognese definirei un insieme di canzoni hip hop, suonate con attitudine punk filtrata attraverso ricordi no wave sbrindellati. Praticamente una versione a 80 bpm dei Lightning Bolt (questa me l’hanno suggerita) su cui scorre una voce sfasata.
Un tratto questo che conferisce all’insieme un senso di aritmia che applicato al battito del campionatore manda tutto fuori giri. La percezione di una minaccia incombente costruita da un basso e dal battito di un sequencer (mi dicono essere un SP 303) che si squaglia nella voce del tipo, modulata su cadenze  svogliate, stonate e decisamente low fidelity.
Tipo un Dirty Beaches spiegato a Giulio che fa la seconda elementare e il suo hit del momento è quella canzone in cui Luca Carboni fa coppia con Fabri Fibra.
Oppure come fosse un disco della Anticon registrato con a disposizione un budget ridotto all’osso. 
Difficile da descrivere, più semplice dare un ascolto a una canzone come Hard on Myself.
Una cantilena spastica spezzata da una drum machine ubriaca. Esattamente la cosa che aspetteremmo di trovare ad attenderci un domani, su quella soglia dove qualcuno venisse mai ad annunciarci la fine di ogni musica possibile.

Il primo, omonimo album di Vex Ruffin è uscito per Stones Throw Records il 12 novembre.

Vex Ruffin suonerà allo Zuni di Ferrara il 24 novembre.

Arturo Compagnoni


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