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Ognuno di noi ha probabilmente il desiderio di poter cancellare qualche episodio della propria vita.
Non mi riferisco a cose particolarmente drammatiche, quelle naturalmente le butteremmo tutti nel cestino.
Ma proprio a quei piccoli avvenimenti che se ricordati provocano un piccolo imbarazzo e un pó di fastidio.
Io ne tengo una bella serie nel comodino, alcuni legati indissolubilmente alla musica.

Scrivere in maniera continuativa per una rivista specializzata per un bel pó di anni ha fatto sí che mi dovessi comunque trascinare dietro un piccolo bagaglio di cantonate e incomprensioni.
Niente di grave, ben inteso. Fatti che non tolgono il sonno, insomma.
Ci sono alcuni dettagli peró che se potessi viaggiare nel tempo non ci penserei un secondo a cambiare.

Con Mark Kozelek ho un conto aperto in questo senso: ne stroncai un disco, quando ancora incideva con la sigla Red House Painters.
A dire il vero fui uno dei primi a parlarne in termini entusiasti quando esordí nel 1992 su 4AD.
Mi capitó di recensirne un paio dei primi album in termini molto positivi e cercai in tutti i modi di spingere perché la band avesse un minimo di visibilitá. (Ah, le famose riunioni mensili di redazione. Dopo il pranzo e la quarta bottiglia di Bonarda acquistavano un altro ritmo, vi assicuro. E difendere Kozelek davanti a Sorge era un’impresa, potete immaginare.)

Ma si diceva della stroncatura…..quello che piú mi indispone ancora oggi é la superficialitá che dimostrai in quell’occasione.
Non era il miglior disco del gruppo va detto (Songs for a blue guitar, per la cronaca), ma Kozelek é uno di quei personaggi con cui superficiali non si dovrebbe essere mai.
Non lo merita in qualsiasi caso.

imgresL’unica cosa che mi consola é che quel disco gli costó proprio il contratto con la 4AD, all’epoca.
Anche Ivo Watts-Russell non ne pensó benissimo evidentemente e decise che di Kozelek ne aveva avuto abbastanza. È probabile che Russell ed io abbiamo lo stesso fantasma che ci perseguita da quel giorno peró, tant’é che lui ha dichiarato in seguito che mandare via i Red House Painters é stata probabilmente una delle peggiori scelte nella storia dell’etichetta.

Dal 1996, data dell’episodio del “licenziamento” 4AD, Kozelek ha comunque continuato a fare musica, tra alti e bassi, utilizzando il proprio nome oppure nascondendosi dietro la sigla di Sun Kil Moon. Anche se va detto non esistono band quando Kozelek é coinvolto, al massimo musicisti che lo accompagnano, questo é certo.

Il nuovo album dei Sun Kil Moon, Benji (Caldo Verde Records), uscito in questi giorni ha generato entusiasmi che non circondavano il lavoro di Kozelek da tantissimi anni.url

Gran disco, in effetti. Che non aggiunge nulla a quanto giá non si sapesse a proposito della band.
Disco prettamente acustico ma arrangiato con gusto anche nei dettagli: l’utilizzo dei cori e delle voci risultano irresistibili in particolare.

Ma un lavoro di Kozelek si fa ricordare per le parole e non per i suoni.
In questo caso ce ne ha regalate di straordinarie: storie di vita reale, spesso drammatiche, raccontate con una disinvoltura che lascerebbe supporre una certa leggerezza.
Stordiscono, invece.
Ti gelano il sangue, in alcuni casi.
Il tono da affabulatore inganna.

In America si sono presi il tempo addirittura di controllare: nomi, luoghi, tutto quello che é citato nel disco.
Si é appurato che non c’é nulla di inventato, non c’é nulla di romanzato, tutta roba vera.
Questo é Kozelek del resto: travolge con un diluvio di parole poderose. Racconta la sua vita, nel dettaglio. Ma ha la straordinaria capacitá, attraverso le sue vicende personali, di mettere in scena la drammatica quotidianitá di tutti noi.
I particolari familiari, le perdite improvvise, la mortalitá e il tempo che passa inevitabile.
Anche per chi giá conosce il lavoro di Mark non si prospetta un ascolto semplice.

Poi il colpo di genio, tipico del personaggio.
In chiusura infila una canzone, Ben’s my friend, capace di cambiare l’intero tono del disco.
Il Ben del titolo non é altro che il Gibbard dei Postal Service.
La canzone é, tra le altre cose, il racconto di un concerto di questi ultimi:

The other night I went and saw the Postal Service
Ben’s my friend but getting there was the worst
At a festival in Spain, he was on a small stage then
And I didn’t know his name
Now he’s singing at the Greek and he’s busting moves
And my legs were hurt and then my feet were too
Calling after settling, said I’ll skip the backstage high five
Thanks for the nice music and all the exercise
And we laughed and it was alright, and we laughed and it was alright
It was alright
Between a middle guy man with a backstage pass
Hanging around like a jackass
Everybody was 20 years younger than me
I drove to my place near Tahoe
Got in my hot tub and thought that’s over
It was quiet and I was listening to the crickets
And Ben still out there, selling lots of tickets
then in a couple of days my meltdown passed
Back to the studio doing 12 hours shifts
Singing a song about one thing or another
Every day behind this tender, long summer

Ne esce una chiusura di disco clamorosa, anche il tono strumentale si fa piú leggero.
L’angoscia e lo sconforto lasciano il posto alla consapevolezza di un uomo di mezza etá che osserva con sguardo disincantato il successo di amici che un tempo gli aprivano le serate come band di supporto.

Ma non c’é rabbia solo amarezza casomai e una buona dose di autoironia nell’esporsi.
Quel finale che richiama una tenera estate, il lavoro in studio di registrazione, il cantare una nuova canzone a proposito di una cosa o di un’altra, ci offre esattamente uno spaccato della nostra esistenza, che nonostante tutto va avanti e talvolta, ma solo talvolta, regala anche un sorriso.

Era il 26 luglio dell’estate scorsa, quando i Postal Service suonavano al Greek Theatre di Berkley, in occasione del tour del decennale di Give Up.
Non finiremo mai di ringraziarli per aver inconsapevolmente messo in moto questo processo creativo.
Una volta tanto una delle solite inutili reunion ha avuto un senso: ne é uscito un album da ricordare ed il sottoscritto si ritrova con un piccolo peso in meno sulla coscienza.

Cesare Lorenzi

* Torta di granchio blu – tratto dal testo della canzone Ben’s my friend (…And we ate at Perry’s and we ordered crab cakes, blue crab cakes, blue crab cakes….)

Mark Kozelek sará in tour in Italia ad aprile: il 4 a Roma, il 5 a Ravenna al Bronson, il 6 a Padova e il 7 a Milano


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