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NICO

La mattina in cui é uscito il nuovo album degli Swans mi sono affrettato a scaricarlo sul cellulare prima di partire per l’aeroporto. Immaginavo di ascoltarlo con calma nei giorni seguenti, una settimana scarsa di nullafacenza che mi aspettava ad Ibiza.

Ecco, uno va via qualche giorno, in vacanza, a Ibiza e lo fa con la ferma intenzione di ascoltare la musica degli Swans, che insomma non é propriamente una roba da intrattenimento leggero. Già qui ci sarebbe da ragionarci su e porsi delle domande su se stessi, su ciò che si vuole e su come si sia plasmato il concetto di intrattenimento personale.

Se non altro ho la fortuna di non dover condividere quello che ascolto. Nemmeno con chi mi accompagna in vacanza.

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SWANS “To Be Kind”

Così quel disco, che poi in realtà sono 2 o 3 a seconda se si consideri la versione in cd o quella in vinile, l’ho ascoltato in volo per la prima volta e mi ha occupato quasi per intero il viaggio d’andata. Disco al solito devastante. Che poi ho continuato ad ascoltare nei giorni seguenti, sfidando il sole, le spiagge, il clima. Sotto ogni aspetto Pharrell Williams sarebbe stata scelta più adatta. Ma niente, dovevo assimilare il disco nuovo degli Swans. Subito.

Così ho proseguito con quelle musiche nelle orecchie, senza farmi condizionare dall’umore e dall’ambiente. Anzi questo apparente contrasto mi ha permesso di entrare ancor più nel clima del disco.

Non so bene il motivo ma Ibiza ha conservato un alone di luogo di frontiera, di ultimo rifugio che contrasta con il divertimentificio acclarato del posto ma di cui in giro per l’isola si trovano ancora tracce.

Questa cosa mi ha fatto tornare in mente gli ultimi giorni di Nico, anche lei in fuga dal mondo, incapace di venire a patti con i propri fantasmi e le troppe droghe. Ho provato a cercare in rete informazioni sul luogo esatto dove avvenne l’incidente in cui perse la vita e mi sono ritrovato ad immaginare un pellegrinaggio. Ma nulla, non sono riuscito a trovare qualcosa di specifico. Gli articoli che ho consultato non sono andati più in là di un generico attacco cardiaco che provocò una caduta in bicicletta, senza mai specificare il luogo. Testa sul marciapiede ed emorragia cerebrale che se la portò via per sempre a 46 anni in un ospedale dell’isola. Immaginarsi Nico ancora in vita e in attività come musicista é esercizio inutile, va da sé, ma la cosa mi ha fatto riflettere su come e quanto le nostre vite personali e artistiche per chi artista è, siano condizionate da cicli.

Nico se ne é andata nel momento piú basso di una parabola che l’aveva vista protagonista (non amata dagli altri interpreti) del primo album dei Velvet Underground, ma anche attrice per Fellini e modella per Dior, roba da niente insomma. Ma se si fa riferimento all’eredità artistica allora non si può prescindere dai suoi due più importanti album solisti (“The Marble Index” e “Desertshore”) rispettivamente del 1969 e 1970.

Dischi che hanno condizionato scene intere (molte delle vicende del “dark” inglese degli anni settanta hanno preso spunto da quei due dischi) e che ciclicamente, guarda un pó, qualcuno si premura di farci sapere essere le proprie fonte di ispirazione principali.

Due album talmente “oltre” che naturalmente all’epoca dell’uscita ebbero riscontri decisamente deludenti.

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SWANS

Ecco, se parliamo di cicli e di vite artistiche, notiamo come per gli Swans invece in questo momento tutto indichi che siamo giunti al punto massimo della parabola. Fosse un titolo da tradare in borsa sarebbe roba da shortare ad occhi chiusi. Recensioni iperboliche che si limitano al massimo a valutare le differenti sfumature dell’eccellenza. Certo che chi ha la sfortuna (per una questione di carta d’identità) di ricordarsi quanto poco venissero considerati gli Swans nel periodo iniziale della loro carriera tutto ciò risulta quantomeno curioso.

Ancor più sorprendente se si tiene in considerazione il valore di quella discografia, in particolare quella del periodo di mezzo, dove alla voce fece la sua comparsa Jarboe, una che i dischi di Nico probabilmente li conosceva a memoria.

Il culmine di un ciclo però porta in dote i primi lamenti soffusi, le piccole dimostrazioni d’insofferenza, la voce del nemico che comincia piano piano a levarsi. Perché se “To Be Kind” è giustamente considerato un disco importante è anche altrettanto corretto segnalare che si nota un po’ di autoindulgenza e che se qualcuno si aspettava un “nuovo” album degli Swans e non il semplice proseguimento di “The Seer” rischia di rimanerci male.

Va anche detto che se quel qualcuno gli Swans li conosce veramente di questo fatto potrebbe pure non stupirsi tanto. Inutile aspettarsi cambiamenti epocali, del resto. Sopratutto in considerazione di come è nato il nuovo album.

Un processo spiegato molto bene da David Byrne nel suo libro “How Music Works”: il contesto influenza la creazione artistica. Non esiste una creazione pura, non è possibile distaccarsi dal mondo in cui si vive e rimanerne impermeabili. Gli ultimi mesi di Michael Gira e compagni sono trascorsi in tour, suonando all’infinito l’apocalisse di “The Seer” nei 5 continenti. Finito il tour il gruppo si è ritrovato immediatamente in studio di registrazione. Cos’altro poteva uscirne se non la diretta prosecuzione di quello che si è portato in scena per tanti mesi consecutivi? Ne viene di conseguenza che “To Be Kind” è il disco meno necessario della discografia recente degli Swans. Un album che sembra voler comprensibilmente consolidare il piccolo ma stabile successo che ha travolto il gruppo negli ultimi anni ma che in tutta onestà ha di converso perso quella urgenza espressiva che in passato era stata così pregnante nella discografia della band. David-Byrne-1-thumb-620x413-46759

Rimane il dubbio che il contesto in questo caso abbia suggestionato anche il sottoscritto. Quanto viene condizionato quello che percepiamo e che poi magari tramutiamo in parole dal momento che stiamo vivendo? Da un recensore (e non è il mio caso) ci si aspetterebbe sempre e comunque un minimo di “obiettività”, che tornando ai presupposti del libro di David Byrne è impossibile da ottenere. La lezione che ne traggo è semplice in effetti e scontata sin dal presupposto iniziale: Ibiza non è posto per Michael Gira, quantomeno non per ascoltarlo con attenzione. La prossima volta che capiterò da queste parti mi infilerò nel beach-club dell’Ushuaia e al quarto mojito avrò senz’altro scordato gli Swans concentrandomi sul Pharrell Williams di turno che senz’altro il locale si premurerà di tenere in sottofondo. Con i postumi di una nottata da smaltire, al mesto ritorno alla vita di tutti i giorni, sono certo che anche il mio giudizio sugli Swans sarà differente da quello parziale che ho appena esposto.

E cosa ancor più importante sarà decisamente migliore il ricordo della mia vacanza.

CESARE LORENZI


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