
Nell’era moderna, in campo musicale (e non solo in quello), gli anni ’80 sono stati praticamente la prima epoca di cui si è cominciata ad avvertire chiaramente la nostalgia di massa da parte di coloro che quell’epoca non l’avevano vissuta. Questa storia della nostalgia dimostrata rispetto a qualcosa che non si è provato è comunque una faccenda strana. Il termine nostalgia viene definito (fonte Treccani) come il desiderio acuto di tornare a vivere in un luogo che è stato di soggiorno abituale e che ora è lontano. Per estensione, uno stato d’animo melanconico causato dal desiderio di persona lontana (o non più in vita) o di cosa non più posseduta, dal rimpianto di condizioni ormai passate, dall’aspirazione a uno stato diverso dall’attuale che si configura comunque lontano. Probabilmente è in quest’ultimo passaggio che sta il punto di tutta la questione. Nostalgia non come desiderio di recuperare una parte del proprio vissuto ma come ambizione ad uno stato diverso dall’attuale. Considerata così ecco spiegata questa continua corsa all’indietro: pur affogati da una quantità di musica incredibilmente ampia, oggi abbiamo voglia di spendere tempo coltivando nostalgia per il passato perché il presente non ci soddisfa. Esattamente la situazione opposta rispetto a quella sperimentata da coloro i quali erano già per strada trent’anni fa. Allora non c’era tempo e nemmeno voglia di rievocare con nostalgia un’età che non avevi vissuto: succedevano troppe cose.
Pensavo esattamente a questo quando l’altro giorno mi sono bevuto in un amen “50×80”, l’ottimo libricino allegato al numero di Rumore tuttora in edicola, in cui Carlo Bordone (assieme a Maurizio Blatto l’unica firma che posta in calce a un qualsiasi scritto mi convinca a leggere quello stesso scritto, di qualunque cosa si tratti) si impegna a scoprire il lato nascosto degli anni ’80 attraverso 50 (+50) dischi di culto di quel decennio. Quella lista di cento titoli ci ricorda che gli 80’s non sono stati solo gli anni della Factory Records e della 4AD, dello Small e dell’Aleph, della Traumfabrik e dello Slego, dei Duran Duran e degli Spandau Ballet, ma sono stati anche gli anni degli Human Switchboard e dei Redskins, dei That Petrol Emotion e dei Miracle Workers, dei Felt e degli Au Pairs. Gli anni che se solo hai avuto l’avventura di viverli, soprattutto ad inizio decennio, potevano riuscire a convincerti che la musica contasse davvero tanto.
Detto questo, bando alla nostalgia (o Nostalghia per dirla alla Tarkovskij) e ascoltiamoci cinque ottime nuove canzoni di cinque ottimi nuovi gruppi.
Perché a noi, si sa, piace vivere nel presente e guardare al futuro. Sempre.
Quarterbacks “Not in Luv”
I Tullycraft, i Boyracer, le Talulah Gosh, la K Records.
Oppure questi sessantaquattro secondi di pura perfezione pop punk.
Se il loro imminente primo album non sarà il mio personalissimo disco dell’anno sarà perchè uscirà qualcosa di meglio e allora vorrà dire che i dodici mesi che abbiamo appena cominciato a vivere saranno stati un periodo davvero eccezionale. Amore totale.
Girlpool “Alone at the Show”
Il loro ep di qualche mese fa non mi aveva del tutto convinto ma i 106 secondi di questa canzone che si trova dentro la nuova compilation di The Le Sigh, (a blog that highlights women in music and art per chi, come me fino a 30 secondi fa, non lo sapesse) ribaltano tutto.
In questi giorni in cui il core business collettivo è spulciare l’elenco dei nomi partecipanti al Primavera per cercare un motivo per andare o una scusa per rimanere a casa io mi ascolto questa canzoncina in cui le due ragazze califoniane ci raccontano di come un concerto possa anche NON essere un evento sociale: I wanna look at you/ But you don’t want me to/ I’ve got a secret crush on you.
Hierophants “Pneumatic Drill”
Everett True, mio antico mentore, vive da tempo in Australia e di conseguenza ascolta (anche) molta musica australiana. Non so se sia che ha ricominciato a scrivere in maniera massiccia oppure sono io che ho ricominciato a leggerlo, fatto sta che ultimamente mi capitano a tiro un sacco di buoni gruppi che arrivano da quelle parti. Agli Hierophants in realtà sono arrivato su segnalazione di qualcun’altro, ma poco importa. Tra un po’ uscirà il loro primo album, questo invece è il loro ultimo singolo. Punk Wave schizzata su sincope di tastiere. Robe così mi mandano sempre fuori di testa.
Jack Name “Running after Ganymede”
Si infila in uno spazio alieno tra Chrome e Can, come viaggiasse di notte su di un’autostrada illuminata da neon bianco, questa canzone di John Webster Johns, aka Jack Name, ultimo pupillo di John Dwyer. Weird Moons, il suo album in uscita per la Castle Face, pare una versione cosmica dei primi nastri che Ariel Pink ci fece ascoltare qualche anno addietro. Stranamente affascinante.
Hurry “Shake it Off”
Venirmi a raccontare che un nuovo gruppo che ancora non conosco si piazza da qualche parte tra il blu album dei Weezer e Alien Lanes dei Guided by Voices (Pitchfork) è una carognata. Ovvio che ci casco. Questa canzone la trovate dentro Strenght in Weakness, ep in split con altre cinque band di Philadelphia, una meglio dell’altra.
Chiudo che vado a recuperarmi Everyhing/Nothing, il primo album di questi Hurry uscito un paio di mesi fa. Saluti e baci.
Arturo Compagnoni