davidpajo

David Pajo ha tentato il suicidio. Questa è la notizia bruta e brutta. Quella buona è che, a quanto pare, se la caverà. Non è una notizia fresca, lo so, però da quando è successo (qualche settimana fa) non posso fare a meno di continuare a pensarci. Ciò che non smette di tormentarmi non è il fatto in quanto tale (che per quanto mi riguarda resta un fatto privato su cui non posso né voglio dire nulla), ma la ridda di reazioni che ha seguito l’annuncio. Dove? Sulla mia timeline di facebook, ovviamente. Chi si è limitato a riportare la cosa, chi si è lasciato andare ad irresistibili gossip, chi si è spinto a fare la solita psicologia spicciola (Eh, ma se l’ha annunciato prima sul web, significa che era un atto solo dimostrativo!). Ho letto con interesse il resoconto, dettagliato ma sobrio, di Elia Alovisi sulle pagine web di Rumore dove vengono riportati ampi stralci del messaggio web con cui l’ex chitarrista degli Slint annunciava il suo gesto e sono rimasto allibito di fronte alla quantità e alla precisione dei dettagli sulla sua vita privata che, in un momento così difficile ed estremo, David Pajo ha voluto condividere con migliaia di perfetti sconosciuti. Senza voler fare paragoni che non stanno né in cielo né in terra, non sono comunque riuscito a impedirmi di pensare a Cesare Pavese e alla bellezza, cruda ed essenziale, del suo messaggio di commiato che invece si concludeva con un definitivo “Non fate troppi pettegolezzi”.

Penso che quando si parla di rivoluzione digitale in musica, a fianco di tutti i discorsi sui supporti e sul mercato, bisognerebbe cominciare ad affrontare seriamente la questione di come i social network abbiano cambiato lo stile della comunicazione, in un settore dove ormai il pubblico è sempre a diretto contatto con i propri beniamini, e sempre più spesso anche con la loro dimensione più privata. In particolare credo che facebook, il più invasivo e onnipervasivo dei social network, abbia alterato definitivamente il rapporto tra (e la percezione di) ciò che è pubblico e ciò che è privato. Solo dieci anni fa sarebbe stato impensabile mettere in piazza le proprie magagne relazionali e le proprie miserie quotidiane così, senza filtri, gettate in pasto al meccanismo della condivisione. Ci sono voluti anni di un sistema che fomenta gli istinti più bassi degli utenti, dove il narcisismo di chi scrive si alimenta quasi esclusivamente del voyeurismo di chi legge, in una competizione a botte di like dove nessuno esce vincitore. E così, come si passa di feed in feed e come si finisce a guardare foto di matrimoni di perfetti sconosciuti, a maggior ragione si finisce a spulciare nelle vite dei musicisti che amiamo di più, anche laddove non si avrebbe nessuna ragione di andare a guardare.

Ma spesso sono loro che ci sbattono in faccia i fatti loro.

Sì e no. È che siamo tutti ugualmente vittime e carnefici di questa rivoluzione silenziosa. Si guardi il caso di Kim Gordon. Abbiamo veramente bisogno di sapere certi dettagli intimi della sua vita di coppia? O che la attuale compagna di Thurston Moore ancora prima di sedurre lui aveva una relazione con Jim O’ Rourke mentre era ancora sposata? Non solo, ma che è probabilmente a causa degli strascichi della fine ingloriosa della relazione tra lei e lo stesso Jim che questi ha deciso di lasciare i Sonic Youth? Abbiamo veramente bisogno di sapere tutto questo? Ma la domanda che veramente mi turba è questa: Kim Gordon avrebbe scritto o dichiarato tutto questo solo dieci/quindici anni fa, vale a dire in un contesto in cui non c’erano i vari Pitchfork o Stereogum pronti a riassumere la notizia in un titolo a pronto utilizzo di migliaia di famelici “condivisori”? Non è una domanda retorica e purtroppo non riesco a darmi una risposta che mi tranquillizzi. Di questo passo presto avremo qualcuno abbastanza audace e senza pudore da tentare una rilettura dell’intera storia del rock alla luce di corna, ripicche e due di picche.

Temo veramente che siamo giunti al punto in cui chi scrive, o rilascia dichiarazioni, lo fa nella quasi esclusiva preoccupazione dell’uso e consumo che ne faranno aggregatori e “condivisori”. Per esempio, onestamente non credo che Mark Kozelek avrebbe provato tanto gusto e divertimento a dileggiare Adam Granduciel e compagni se non avesse potuto assistere compiaciuto alla reazione a catena suscitata dalle sue sparate. Mi piace pensare che solo dieci anni fa, la querelle Sun Kill Moon / The War On Drugs si sarebbe conclusa in un paio di giorni e davanti a una birra alla prima occasione, consentendomi di conservare l’idea di Mark Kozelek come quella di una persona complessa e scorbutica, prima che settimane e settimane di bullismo mediatico la andassero inevitabilmente  a sovrapporre a quella di un arrogante coglione.

Se l’avvento dei social network ha avvicinato l’audience ai propri beniamini, lo ha fatto abbassando questi ultimi al livello dei piccoli pruriti del quotidiano dei primi.

Tanto valeva tenerli sul piedistallo.

 

The Wave PicturesI Could Hear The Telephone (3 Floors Above Me)

AI tre inglesi, è noto, piace omaggiare i propri idoli e dopo Daniel Johnston e Jason Molina (tra gli altri) per questo nuovo album hanno scelto Billy Childish chiamato a produrre e ad aggiungere la sua firma su molti dei pezzi di Great Big Flamingo Burning Moon. Questo singolo in particolare è un pezzo semplicemente perfetto per cominciare la settimana, soffusamente elettrico con grinta, un po’ alla maniera dei Violent Femmes.

MoonlandingzSweet Saturn Mine

Confesso che non avevo mai sentito parlare di questo The Eccentronic Research Council prima. Non so chi siano ma questo progetto insieme a quegli sciroccati di The Fat White Family promette benissimo. Un ep in uscita e una canzone ad anticiparlo che è un piccolo capolavoro di psichedelia da dancefloor. Segnatevi il nome.

SpectresWhere Flies Sleep

Non li avessi visti dal vivo, probabilmente avrei ceduto alla tentazione di archiviare questa band alla voce nu-gaze, fatto bene quanto vi pare, ma che non aggiunge niente al già sentito. E invece la ferocia con cui padroneggiano feedback e melodia è qualcosa che li rende speciali. Dying, il loro esordio, è stato accolto da NME con un 9 nella stessa pagina in cui a Noel Gallagher veniva cortesemente assegnato un 7. Per dire.

SiskiyouWasted Genius

C’è una tradizione nobile dell’indie-rock canadese che ha una sua specificità soprattutto per quanto riguarda l’approccio alla melodia. Le coordinate di questo suono sono state fissate in anni recenti dai compianti Wolf Parade e dagli Arcade Fire di Funeral. Con il nuovo Nervous anche i Siskiyou abbracciano questa tradizione innervandola con la propria sensibilità votata al folk. Con ottimi risultati.

The AmazingPicture You

Se non siete quelli dell’originalità a tutti costi, date un ascolto a questi svedesi che con il nuovo album mettono a fuoco un folk pop praticamente perfetto. Ci sono i Red House Painters, Neil Halstead e anche i Belle and Sebastian fanno capolino di tanto in tanto. Probabilmente me ne dimenticherò al momento di fare la classifica di fine anno, ma in questo strascico di inverno che fatica a farsi primavera si fanno ascoltare che è un piacere.

Luigi Mutarelli


Una replica a “Barbarism Begins at Home (Fiver #11.2015)”

  1. Avatar andreapeviani

    Molto d’accordo. Soprattutto sull’”arrogante coglione”. Io aggiungerei anche palloso.

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