The Clean
The Clean

The Dunedin sound was a style of indie pop music created in the southern New Zealand university city of Dunedin in the early 1980s. The Dunedin Sound uses jingly jangly guitar, minimal bass line and loose drumming. Keyboards are also often prevalent. Primitive recording techniques also gave this genre a lo-fi sound that endeared its earnest music, but occasionally hard-to-understand vocal accompaniment.

Assodato da tempo che l’indie rock quanto genere musicale non esiste, ognuno può sentirsi libero di inquadrarlo come meglio pare a lui, utilizzando i riferimenti che più gli sono familiari. Ad esempio io vedo l’indie rock come un luogo geografico situato al crocevia di un triangolo di città – Glasgow, Olympia e Dunedin – proiettato in un periodo storico ben preciso (prima metà degli anni ‘80). In quei tempi a Glasgow avevano sede etichette come Postcard e Creation ed erano di casa band come Vaselines e Pastels, ad Olympia cominciava ad agitare le acque Calvin Johnson alla guida dei Beat Happening e al governo della seminale K Records, mentre a Dunedin, sud della Nuova Zelanda, nascevano i Clean e la Flying Nun Records.

Considerato che tanto l’esordio della Flying Nun quanto la data di realizzazione del primo disco dei Clean risalgono al 1981, posso tranquillamente ammettere che io sul Dunedin Sound arrivai con un ritardo pauroso.
La prima volta che mi capitò di ascoltare i Clean fu infatti a fine anni ’90, nel corso della visione di un film, Topless Women Talk about Their Life. Non ricordo se la videocassetta finita nelle mie mani fosse il frutto della registrazione di un passaggio notturno su Rai 3 o piuttosto un nastro noleggiato al videoclub che stava all’imbocco del ponte di via Libia. A dispetto del titolo, Topless Women Talk about Their Life non era un film porno. Si trattava di una pellicola neozelandese del 1997, una storia di “twenty something friends based on a TV series” in cui “le situazioni si dipanano spesso attraverso luoghi comuni risaputi ma resi accettabili dal tono senza pretese e da un ritmo che consente il perdono delle molte ingenuità“.
A me il film piacque, e ancor più apprezzai la colonna sonora che lo accompagnava: solo gruppi neozelandesi, tutti di casa alla Flying Nun Records. Alla fine del film lavorai parecchio di telecomando (il fermo immagine nel videoregistratore era un vago concetto, sfocato e tremolante) per stoppare il fotogramma sui titoli delle canzoni che scorrevano in coda alla pellicola. La colonna sonora mi era piaciuta tutta, tanto che poco dopo recuperai il cd con un avventuroso ordine inoltrato direttamente alla casa discografica ad Auckland. Una canzone più di tutte le altre  mi pareva il supporto giusto al mio dogma musicale di quel periodo, ideale che poco si discosta dall’attuale. Partiva con un giro di chitarra semplice su cui interveniva una batteria essenziale quanto quella di Moe Tucker, poi entrava la voce: Well here I am in the big city / I’ve got no heart and I’ve got no pity e tutto girava in tondo sempre uguale. Due minuti e spiccioli di perfezione assoluta. Si intitolava Anything Could Happen ed il gruppo che la suonava erano i Clean.
Quella canzone fece ben presto il paio con un altro pezzo, Tally Ho, che scoprii poi essere il primo 45 giri del gruppo e secondo numero del catalogo Flying Nun. Un singolo che è un concentrato di tante cose che trovo semplicemente irresistibili: chitarra grattugiata, farfisa che insiste battendo in loop gli stessi tasti, produzione semplificata dal 4 piste di Chris Knox, capace di catturare l’energia primitiva di un suono garage senza per questo sotterrare la grande capacità della band di scovare memorabili melodie. Approccio punk, melodia pop, circolarità psichedelica: Velvet Underground, Swell Maps e Television Personalities le coordinate di massima. Praticamente il vestito cucito su misura per la taglia del sottoscritto.
I Clean hanno pubblicato cinque dischi in quasi quarant’anni di carriera, ma le loro canzoni sono rimaste lì, scolpite nella memoria, mia e di tanti altri, visto e considerato che sono state riprese in parecchie occasioni: dai Pavement ai Calexico, dai Guided by Voices ai Comet Gain, dai Times New Viking agli Yo La Tengo, dai MGMT ai Broken Social Scene. E sicuramente sto dimenticando qualcuno.

The Stones “Gunner Ho

Il manifesto programmatico del Dunedin Sound fu un doppio 12” (Dunedin Double, appunto) con cui si presentavano al mondo quattro gruppi: Chills, Verlains, Sneaky Feelings e Stones. Degli Stones la da noi amata Captured Tracks ha appena pubblicato un album che in retrospettiva raccoglie i pezzi editi nell’unico ep che, a parte le canzoni del leggendario doppio 12” di cui sopra, questi ragazzi fecero in tempo a metter fuori prima di squagliarsi nel nulla. Da recuperare assolutamente.

Male Gaze: “Gale Maze

Ancora una invenzione dalla Castle Face, etichetta da cui si potrebbe acquistare tutto a scatola chiusa. Nel primo disco dei Male Gaze ci sono pezzi che mi piacciono più di questa canzone, che pur ottima dura un paio di minuti di troppo, ma in giro non ho trovato altro di pubblicabile. Due cose soprattutto colpiscono: la voce del cantante, un po’ baritonale e molto wave, e il fatto che il nome lo abbiano scelto per rendere omaggio a una canzone dei Pissed Jeans. Massimo rispetto.

Milky Wimpshake: “Putting Things Right
Milky Wimpshake is a punk band from Newcastle Upon Tyne. The band was formed in the early 1990s as part of the Slampt Underground Organisation scene. They play love songs for punk rockers, protest tunes, covers of Northern Soul classics, and some new classics of their own. Questo è dal loro sito. Per chi non li conoscesse di mio posso aggiungere che sul genere meglio di questi ci sono solo i Comet Gain. Ma se non conoscete i Milky Wimpshake probabilmente non conoscerete nemmeno i Comet Gain. Così fosse, peggio per voi.

Warm Soda “I Wanna Go Fast

Se volete raccontare a qualcuno cosa sia il power pop utilizzate questa canzone, spiega meglio di qualunque parola. In qualche passaggio mi ricorda una hit italiana di qualche decennio addietro, ci ho pensato ore poi ci sono arrivato: Comprami di Viola Valentino. Dico sul serio, ma non scoraggiatevi per questo. I Warm Soda tra poco planeranno all’Handmade, il consiglio è di non perderli.

Titus Andronicus: “Dimed Out

Il primo disco dei Titus Andronicus mi piacque molto, il secondo decisamente meno, sul terzo in uscita a fine luglio ho presentimenti funesti: 93 minuti, 29 canzoni, opera rock ispirata a Nietzsche. Fin qui le notizie ai confini con la tragedia. Poi leggo che dentro ci saranno anche cover di Daniel Johnston e Pogues e la prima canzone ad uscire è questa: un bel pezzo punk sparato altezza uomo. Chissà, magari pubblicheranno il loro Zen Arcade.

Arturo Compagnoni


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