Foals
Foals

Estate da cyborg. Sembra strano ma d’estate inizio ad avere un rapporto molto più stretto con il computer.
Il caldo a mille gradi mi impedisce di dormire la mattina (i ventilatori, si sa, non funzionano mai come si deve), gli alcolici della sera prima richiedono un consistente tributo in acqua per sedare i bruciori del palato, la testa pulsa e il bisogno di trascinarsi in cucina per ingoiare qualche compressa prende il sopravvento. Insomma mi sveglio molto presto, e con il mare a distanza considerevole (almeno fino a quando sono relegato nella bella città dai tanti portici, ma dalle poche piscine) non posso far altro che avviare il computer.
Il ronzio riempie la stanza, la luce azzurrata illumina la penombra, e ora che si fa? La comunità virtuale langue di notizie degne di nota, di guardare le foto di x o y al mare non ho voglia, dovrei chiudere il computer e farmi un giro a piedi? con questo caldo? No. Meglio spulciare le nuove uscite, qualche band che ha l’ardire di buttare fuori un album in estate si trova sempre. La notizia che più mi colpisce è l’annuncio del nuovo album dei Foals. La brigata di Yannis Philippakis (solo ora rifletto sulle sue origini greche, su come se la deve passare, seguendo questo periodo non troppo florido per gli abitatori dell’Egeo) è ormai arrivata al quarto album ed è incredibile come il loro suono, pur mantenendo una cifra stilistica coesa, si sia evoluto in maniera esponenziale, andando a toccare territori sempre nuovi, insomma i ragazzi hanno sempre dimostrato di avere la voglia e il talento per sperimentare.
Ma non è solo questo che mi colpisce. Non è neanche il fatto che una volta vidi un  loro concerto allucinante in cui proprio Philippakis si arrampico su un traliccio per buttarsi fra la folla. Certo questi sono fattori importanti. Ma no non è questo.  Ogni loro album, con relativo suono, sembra avere il prodigioso potere di sottolineare una fase specifica della mia vita. Anno Domini 2008, Antidotes, piena invasione barbarica delle band indie d’oltremanica, in tv passano un teen movie in cui i protagonisti sono ragazzetti di Brighton, nella mia generazione il sogno del rock n’ troll si rinverdisce sotto le spoglie della coolness inglese. La colonna sonora di  Skins, questo il nome  del telefilm, sono sicuro lo ricorderete, è composta per la maggiore da brani di band come Klaxons e per l’appunto i Foals. Il primo album sfodera un math rock travolgente, pezzi trascinanti ma allo stesso tempo complicati, tempi dispari e voci in falsetto, chitarre suonate con perizia e imbracciate all’altezza del petto, roba da nerd. Forse quel primo album, con la miscela perfetta di indie e math, rappresenta il lavoro più riuscito dei Foals,  o almeno è quello che mi è rimasto più nel cuore. Non che il prosieguo della loro carriera sia in discesa, anzi tutt’altro. 2010, Total Life Forever, i nostri ci riprovano, stavolta alzando il tiro. Abbiamo doppiato la boa del decennio e la sbornia indie sta per smorzarsi, i ragazzi ne sembrano coscienti. Stavolta sfoderano un post-rock confezionato al solito con l’amore per il pop e la commistione con il math, che li contraddistingue. Sono più simili ai Battles che a qualsiasi altra band, lunghe cavalcate che raggiungono momenti apicali di puro sentimento, anche stavolta prova passata a pieni voti.
2013, Holy Fire, forse l’abum che mi è piaciuto di meno, i soliti riferimenti al loro sound passato, ma stavolta c’è una dose massiccia di pop. Non siamo dalle parti di Arthur Russell, ma di sicuro la raffinatezza verso cui tendono lì fa imparentare con diverse band new wave. Tuttavia per me c’è qualcosa che non torna, forse non riescono a essere buoni interpreti del presente come in passato, chi lo sa, il terzo lavoro non è un album brutto ma per me risulta un passaggio a vuoto. E siamo al 2015, nuovo album in uscita ad Agosto e una canzone giù online. Cosa ci riserveranno stavolta i Foals? Da parte mia ho un motivo per aspettare Ferragosto, per buttarmi nelle sonorità geometriche anche sotto l’ombrellone.

Foals “Mountain at My Gates”

Dicevamo il primo pezzo del nuovo album dei Foals. Al principio mi dà una sensazione di freschezza, nonostante si senta anche molta retromania anni ’80 (ampiamente abusata in questi anni). I giudizi ferrei li accantono per un po’, per ora scuoto la testa a tempo.

LA Priest “Oino”

Nella colonna sonora del telefilm sopracitato andava forte anche un altro gruppo ormai dimenticato: i Late of The Pier.  Melodie liquefatte, voci schizoidi, tastierine giocattolo, l’elettroclash fusa con l’indie, la chiamavano indietronica. Purtroppo dopo il primo album tale gruppo, che sembrava promettere davvero bene si sciolse, sparì dai radar. E’ di pochi mesi fa la notizia della morte di un componente della band. Tristezza. Di pochi mesi fa è anche la notizia  di un nuovo progetto di un componente della band. Questo è il risultato, un suono che sembra riaprire il vecchio discorso. Gioia.

Alice Glass “Stillbirth”

Si questa settimana sono in trip con i sintetizzatori. I Crystal Castles si sono sciolti (almeno nella formazione originale), scazzi fra Ethan Kath e Alice Glass. Lei ci riprova da solista, arrivando a vette di cattiveria raggiunte solo nel primo album del duo. Ritorno dell’elettroclash? Staremo a vedere.

Ultimate Painting “Break the Chain”

“Si ok va bene ti fa schifo l’estate però calmati un attimo goditi la vita” direte voi. In effetti avete ragione. Meglio mettere sul piatto il secondo lavoro degli Ultimate Painting, lasciarsi cullare da cotanta semplicità tranquillità, serendipità. Questo è il primo estratto.

Chicos de Nazca “Hey Lord, Hey Babe”

Un paio di Fiver fa ho affermato che conoscevo il Cile solo per Bolano e per i Follakzoid, mi devo ricrede, dietro i secondi si cela un fitto sottobosco di band che sanno cosa significa fare psichedelia. Negli ultimi tempi ho recuperato.

Giovanni Bitetto


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