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PITY SEX

L’altra sera facendo ordine ho trovato una manciata di cd singoli acquistati nel corso di scorribande inglesi di molti anni fa. Anni di felice spensieratezza. Nomi come Sultans Of Ping Fc, Marxman, State Of Grace. Cose che non ascolto più da anni. Li ho buttati in una busta di plastica con il fermo intento di farli fuori.

Mi è venuta in mente Juliana Hatfield che vuole vendere a 20.000 dollari una lettera che le scrisse Kurt Cobain.IMG_5317

Juliana Hatfield è un nome che oggi probabilmente dirà poco a molti ma ci fu un momento nel quale tanti erano segretamente innamorati di lei. Il timido e composto contraltare bostoniano alla sguaiatezza di Courtney Love.

Conservo gelosamente una copia autografata dell’album delle sue Blake Babies che impacciatamente gli allungai nel basement del Rough Trade di Neal’s Yard.  Un incontro tutt’altro che memorabile. Due timidezze a contatto con un “thank you” ed un “you’re welcome” sussurrati che si scontravano e scivolavano sul pavimento  senza lasciare traccia. Anche se avessero già inventato gli smartphone un selfie sarebbe stato impensabile.

Era quel periodo, al principio dei 90, nel quale Juliana andava in tour con i Buffalo Tom ed era molto di più di un controcanto nell’album indie pop più o meno definitivo di quegli anni: ”It’s a shame about Ray” dei Lemonheads con annessi tutti i gossip legati alla sua presunta liaison amorosa con Evan Dando.

Le cose poi non sono andate come sembrava. Pur continuando a fare dischi Juliana è un po’sparita.

“Non sono una collezionista, abito in una zona cara e devo pagarmi affitti, rate della macchina, rette universitarie, internet…” si giustifica lei aggiungendo, per pudore, un “e poi potrei cambiare idea..”.

Tutto molto comprensibile ma qualcosa stona.IMG_5330.JPG

La lettera è commovente nella sua semplicità. Cobain scrive:  Julianna (sbaglia il nome…), grazie per averci dedicato una canzone (I was flattered), il vostro album mi piace molto, scusa se non ti ho dato la giusta attenzione l’altra sera quando ci hanno presentati (I didn’t try to snub you) e un goffo tentativo di fare il simpatico (Have a nice time in England and don’t eat kebabs..), poco altro.

La lettera di una persona sensibile che, seppur in poche righe, fa capire che sa chi sei e che ci tiene all’impressione che ha suscitato. A quello che lei può aver pensato.

Si, ma 20.000 dollari per un pezzo di carta! Vorrei vedere te…

Non discuto e non giudico (20.000 dollari farebbero molto comodo anche a me) ma questa idea che tutto abbia un prezzo, anche i ricordi legati a momenti unici della nostra vita, mi deprime e mai come in questi  periodi così aridi avverto la necessità di riportare un pizzico di poesia nelle nostre vite.

Sono un paio di sere che scuoto la testa sorridendo, spesso con una piega amara, mentre ascolto ‘sti cazzo di cd singoli che volevo far fuori e che non valgono sicuramente 20.000 dollari (forse 2 euro al massimo…).

Credo che non li ascolterò mai più. Credo anche che li metterò in un punto non troppo a portata della mia libreria ma neanche inaccessibile.

Se non altro per ricordarmi ogni tanto chi sono o chi sono stato.

BLAKE BABIES – Nirvana

“Now, here comes the song I love so much

Makes me wanna go fuck shit up
Now, I got Nirvana in my head, I’m so glad I’m not dead”

PITY SEX – A Satisfactory World For Reasonable People

Amore con la A maiuscola. Sopra a un tappeto confezionato con sapienza degna di numi tutelari come Ride,  Swervedriver, Mbv il cantato di Brennan Greaves prepara il terreno per la voce di Britty Drake che arriva ad accarezzarti il cuore. I due si inseguono emozionalmente per tutti gli episodi di White Hot Moon e il secondo album del gruppo di Ann Arbor-Michigan diventa una piccola meraviglia di cui invaghirsi promettendo di bissare l’incanto del primo Nothing (o quasi).

BLOWOUT – Indiana

Si parlava del momento magico di Portland qualche settimana fa. Blowout si inseriscono in quella schiera di band che timidamente si sta facendo largo a furia di chitarre modicamente dissonanti ed un gran gusto per la melodia contagiosa. Indiana sarebbe un pezzo ideale da ballare tra un concerto e l’altro del prossimo No Glucose Festival. In questo particolare caso il cantato di Laken Wright mi porta alla mente in maniera sorprendente la voce di una certa Juliana.

ULRIKA SPACEK – She’s A Cult (Live)

Il loro The Album Paranoia è in giro già da un po’ ma non ci sono ancora “entrato” veramente. Questa versione live in studio della potente She’s A Cult potrebbe funzionare da detonatore per la mia passione, la spinta definitiva ad adottare i ragazzi britannici. Tutto quello che amiamo stipato in 4 minuti. Dissonanza, melodia, tono scazzato, stile. Gioventù sonica alla quale è impossibile rimanere indifferenti. Un posto perfetto dove seppellire stranieri.

Feels – Tell Me

Credenziali ottime per i Feels da Los Angeles.  Album di debutto prodotto da Ty Segall in uscita per la Castle Face Records. Tell me parte placida, si impenna, sfreccia sui binari di una melodia deragliante con il tipico basso imploso di Ty a sottolineare.  Laena Geronimo deve essere un bel personaggio, attira nella rete e poi sfodera gli artigli pretendendo chiarezza da un amante distratto. “‘Tell Me’ is my ‘Should I Stay Or Should I Go’ it goes like: ‘Look: I love you, I’ll wait for you, I would walk 500 miles…but ONLY if you want me to, and I need to know NOW.’ Da maneggiare con cura.

Massimiliano Bucchieri


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