
Giugno 2000, Villafranca di Verona. Sul palco dell’effimero Rockaforte Festival una giovane band inglese si arrabatta per cercare di tenere testa all’hype montante intorno a loro dopo l’uscita del loro primo singolo, Yellow.
Poche decine di persone, Cesare ed io guadagniamo agevolmente le prime file per effettuare, dopo poche canzoni, il percorso inverso fino al bar, decisamente poco convinti.
Evidenziato lo scarso interesse che l’oggetto della vicenda possa rivestire per molti di noi, il clamore che ha accompagnato la gestione della vendita dei biglietti per il concerto dei Coldplay (ed in queste ore dei Depeche Mode) con tanto di sold out immediato, prelazioni per possessori di carte di credito “status” e secondary ticketing a prezzi stellari, ha scandalizzato molti. Dal mio scranno di vecchio frequentatore di concerti potrei additare casi che, se non uguali, buttavano certamente le basi per la situazione odierna. Scorro la mia agenda dei concerti e rammento un concerto di David Bowie con biglietti che mi accaparrai nelle prime ore di prevendita con notevoli sacrifici e crisi di coscienza.
I biglietti erano venduti ad un irragionevole prezzo, per l’epoca, di 65.000 lire con maglietta obbligatoria (!) inclusa (di un tessuto talmente pregiato che dopo due lavaggi avrei potuto emulare la Madonna del video di Like A Virgin). Man mano che si avvicinava l’evento furono poi venduti a 45 e 50. Col mio biglietto da 65 avrei avuto diritto, però, ad una seconda maglietta (sic..).
La differenza principale non la vedo perciò sulla modalità di spremere l’appassionato ma sulle motivazioni che ti spingono ad andare ad un concerto e, in seconda analisi, accettare quello che ti viene imposto.
Rubo qualche riga all’amico Fabio Nirta che qui ragiona brillantemente sulla questione:
Live Nation annuncia “da giovedì 13 ottobre sarà attiva la prevendita riservata ai Titolari di Carta American Express” per i concerti italiani dei Depeche Mode.
Non rimane che sottolineare la differenza fra due mondi che ormai non si toccano più.
L’altro mondo, o l’ultimo impossibile, quello a cui apparteniamo, è estinto da tempo.
Sarebbe stato bello sparire come una supernova, ma non è successo.
Alla faccia dei dischi “politici” dei Depeche Mode e di tutta l’estetica della band dalla nascita al 1989.
People are people e non c’è nulla da fare.
Coscienza a posto… nel comodino.
In altre parole qui, dalla nostra riserva indiana, abbiamo sempre alzato forte un grido di orgoglio (e un po’ da sfigati).
Per noi andare ad un concerto è un atto politico, di appartenenza. Non è un modo come un altro di passare una serata. E se per il mercato un concerto dei Coldplay/Depeche Mode vale 5 volte uno di Bob Mould me ne frega poco.
Io quei concerti, stilati sulla mia agenda con una calligrafia mutata negli anni e che quasi non riconosco più come mia, me li ricordo tutti o, quanto meno, mi ricordo il motivo che me li aveva fatti scegliere o cosa era successo nella mia vita dentro ed intorno ad essi.
Un piccolo esempio.
In questi giorni i Giardini di Mirò stanno suonando dal vivo Rise And Fall Of Academic Drifting per celebrare i 15 anni dall’uscita. Un disco ed un gruppo importanti nella mia vita. Uno dei loro concerti in particolare. Qualche anno fa scrivevo questa cosa sulla versione 1.0 di Sniffin’ Glucose:
Un senso di leggerezza pervade i giorni di inizio primavera.
Gdm al Covo per presentare Rise And Fall Of Academic Drifting.
Una bella serata, molte facce e situazioni piacevoli.
Un bel concerto. I Giardini ci regalano la colonna sonora perfetta per questo cambio di stagione che, avremmo scoperto in seguito, essere molto più che meteorologico.
Mi piacerebbe romanzare e scrivere che quello che è accaduto in seguito è stato ispirato da una serata così. In realtà era successo tutto poche ore prima e quella sera, al Covo, c’era uno spettatore in più che si godeva abusivamente un gin lemon ed il concerto.
Era il 7 aprile 2001. Mia figlia era stata concepita da poche ore.
GIARDINI DI MIRO’ – Pet Life Saver
TERRY – Talk About Terry
Mai saputo ballare o muovermi con un minimo di armonia. Sono stato a concerti o post concerti in cui era veramente difficile non lasciarsi andare ma ho quasi sempre preferito annuire a bordo pista. Per darmi un tono. Questo pezzo dei neonati Terry, gruppo messo insieme da membri di Total Control e UV Race (tra gli altri) è praticamente irresistibile con queste voci imbronciate e quella chitarra storta in bilico tra Weather Prophets e Wedding Present. Non vedo l’ora di “annuirla” a bordo pista da ballo in un prossimo futuro.
MALE BONDING – Eyes
A sorpresa arriva, a 5 anni da Endless Now, il nuovo album di Male Bonding, Headache. Scaricabile gratuitamente, se non ho capito male. Splendidamente rumoroso e incazzato come i precedenti. Li vedemmo qualche anno fa di supporto ai Crystal Castles. Una manciata di non più giovani accalcati sotto al palco per i supporter, beatamente scalmanati. Gli stessi soggetti dopo poche canzoni del gruppo principale fuori dall’Estragon, perplessi. Gli anziani sono prevedibili..
CLOUD NOTHINGS – Modern Act
Attese molto alte per il seguito di quella bomba assoluta che era Here and Nowhere Else. Devo confessare che ci sono arrivato un po’ tardi sui Cloud Nothings. Il problema, quando hai ascoltato tanta, troppa musica è che le tue sinapsi sono un po’ fottute. Ascolti una cosa e subito ti ricorda qualcos’altro o vai alla ricerca di somiglianze. Invece il secondo (al netto di progetti paralleli o “da cameretta”) Cloud Nothings era un piccolo capolavoro di angst generazionale.
This record is like my version of new age music annuncia Dylan Baldi.
Life without sound uscirà a Gennaio e viene anticipato da questa Modern Act che smussa molti degli angoli tipici degli assalti all’arma bianca degli album precedenti. Forse anche un po’ troppo per i miei gusti ma la fiducia è tanta e, scommetterei, ben riposta.
SLEAFORD MODS – TCR
Scrivendo queste righe mentre apprendo della morte di Dario Fo mi interrogo sul fatto che non ho mai compreso fino in fondo la grandezza di figure come Gaber, Jannacci. O Fo, appunto. Le ho sempre tiepidamente apprezzate un po’ da lontano. Un problema mio, indubbiamente. Questione di percorsi, di influenze. Crescere con i Clash o i Joy Division nel cuore e nella testa c’entra qualcosa? Non lo so, francamente. Di certo, mai come in questi ultimi tempi le figure di riferimento di un tempo, amate o meno, stanno sparendo una dietro l’altra e non è un sentimento piacevole.
Cosa c’entrano gli Sleaford Mods con tutto ciò? Un bel niente. Solo che quando ti piglia la malinconia niente di meglio che blaterare con un amico con due birre in mano e loro che hanno fatto di questo atteggiamento una vera e propria arte non possono che essere un ottimo modello a cui ispirarsi.
Massimiliano Bucchieri