L’altra sera, vagando tra i canali televisivi, ho incrociato le immagini di un concerto di Mannarino. Un concerto sold out al Palalottomatica di Roma. Anzi due. Immagini di festa, di grande comunanza. Mannarino. Io non ho nulla contro Mannarino. Onestamente io non so proprio chi sia Mannarino. Moderatamente incuriosito sono andato a leggermi la sua biografia su Wikipedia (in realtà non ce l’ho fatta ad arrivare fino in fondo). Ha fatto un sacco di cose. Fiorello, sigla di Ballarò, film… Nessuna di mio interesse. Un universo parallelo.
Là fuori c’è un sacco di gente che fa festa e balla ascoltando uno che non ho mai sentito nominare.
Questo dà la misura dello scollamento inevitabile tra gente come me, e forse come voi che state leggendo queste righe, e il mondo “reale”. L’idea che la materia sulla quale incentro gran parte del mio tempo, dei miei programmi, desideri e sogni interessi una fetta ristrettissima di persone non mi sconvolge, è semplicemente un dato di fatto. Ho superato da tempo l’animosità del contrasto, del “noi contro loro”.
È più semplicemente una questione di famiglie e di spazi.
La nostra famiglia. La loro famiglia. Il mio spazio. Il tuo spazio.
Tuo spazio, Mannarino.
Tua famiglia, ad esempio, la piazza del concertone del primo maggio.
Mio spazio, per dire, Moonlandingz.
Mia famiglia, Lias Saoudi.
La sensazione netta, quella sera di agosto di un paio di anni fa in cui me lo trovai davanti, sul palco dell’Ypsigrock a contorcersi nudo come se non ci fosse un domani, incurante se davanti a lui ci fosse una manciata di tossici di Peckam o famiglie e bambini con il gelato in mano, fu quella di trovarsi al cospetto di una rock star. O almeno al mio concetto di rock star. Pericolosa e incurante. Una creatura ancora grezza ma confezionata con la stesso materiale con cui sono confezionati i miti giovanili di generazioni. Poi che ogni generazione abbia i miti che si merita è una considerazione scontata nella sua ovvietà.
Il giorno dopo scrivevo su questa pagina “The Fat White Family. The Fat White Family. The Fat White Family. Una bomba sganciata sul Castello. Intossicati, intossicanti. Barcollanti e ingestibili scagliano le loro creature di blues apocalittico sul pubblico, novelli epigoni di Birthday Party e Gun Club. Il giorno dopo si parla solo di genitali ma, nel profondo, molti di noi sanno di essere entrati a far parte della loro Family.”
Pochi mesi dopo a Bologna non mi fecero la stessa impressione. Anzi la sensazione netta fu la mancanza di una colonna sonora adeguata che potesse sorreggere cotanto carisma e potenza.
Buone canzoni, senza dubbio, ma quasi fuori sincrono con il personaggio.
La scelta meno ovvia era fare base a Sheffield per formare i Moonlandingz, un gruppo satellite della band principale con Saul dei FWF e personaggi improbabili quali Dean Honer e Adrian Flanagan degli Eccentronic Research Council. Chi??
Sconosciuti ai più anche se, cercando un po’ in profondità, si scopre che Adrian Flanagan è stato chitarra dei Fall (Mark E. Smith /Lias ..affinità elettive) con una passione per tastiere vintage maltrattate. Ma, soprattutto, menti aperte, disponibili ad intercettare cose impreviste ed imprevedibili.
Esibizioni infuocate e canzoni che masticano e risputano fuori di tutto, dal glam della Glitter Band ad un krautrock impossibile stile “Neu meets ESG”, ai Cramps, ai B52’s.
Non a caso, migrati negli States, cominciano ad imbarcare personaggi improbabili sul loro carrozzone ad ogni fermata. Altre anime affini. Cominciando da Sean Lennon per proseguire con Rebecca Taylor degli Slow Club, membri dei Black Lips, Phil Oakey degli Human League, Randy Jones dei Village People (!)…
Una famiglia. Ancora. La più sgangherata possibile. Ma clamorosamente viva ed imprevedibile.
Oggi tutto trova compimento in Interplanetary Class Classics.
Un disco sporco, scorretto, rabbioso, sexy, divertente. Un disco perfetto per la nostra famiglia.
Un disco che andrebbe venduto giá rigato, con la copertina unta e spiegazzata.
Un album così ridicolmente fuori dal tempo in questi giorni nei quali il consenso si misura in numero di download, like e faccine sorridenti che, proprio in questo tempo, risulta incredibilmente necessario.
Un disco per gente che consuma dischi con una passione inspiegabile ai più, dando cosí nutrimento alla creatura stramba e un po’ sfigata che gli alberga dentro.
Gente che non cerca conferme nella comunanza a tutti i costi e nelle piazze dei concertoni del primo maggio.
Che, tra l’altro, è anche il giorno del mio compleanno.
Ma il nesso mi sfugge.
Forse.
The Moonlandingz – Black Hanz
Broken Social Scene – Halfway Home @ Colbert Show
Non fu una grande idea entrare a curiosare nella tenda dedicata alla musica trance del Pukkelpop Festival con addosso la maglia rossa di Screamadelica. Dopo pochi minuti mi trovai attorniato da giovani su di giri che mi imploravano di allungargli pills n’thrills o, almeno, di dare un sorso dalla mia bottiglietta di evian… La mia bottiglietta era veramente di evian e mi servì pochi minuti dopo quando, cercando scampo, mi infilai nella tenda dove suonavano i giovani Broken Social Scene. La temperatura era torrida e il pogo mi costò una caviglia. Maledetti. Tornano dopo diversi anni da quell’evento e il tempo sembra essersi fermato ad allora. Classico pezzone uptempo pieno zeppo di cose (e la recentissima esibizione al Colbert Show è esemplificativa). Pure troppe cose ma come si fa a volergli male? Tornate pure, tutto è perdonato.
Froth – Passing Thing
Giunti al terzo album e mai entrati, inopinatamente, nel mio radar. Un secondo album addirittura su Burger Records ma i Losangelini Froth con la Burger c’entrano poco. Un amore per certe tonalità shoegaze che mi riporta alla mente un nome molto amato come Boo Radleys e una ritmica stereolabica che porta alle labbra un sorriso istintivo.
Il mio radar è vecchio e scassato, evidentemente.
Idles – Well Done
Non so rintracciare il motivo esatto ma sono cresciuto affetto da una fascinazione profonda riguardo tutto ciò che è britannico (oddio, non proprio tutto). Film, libri, serie tv, football e musica, ovviamente. In questi tempi di Brexit una certa malinconia e fastidio mi accerchiano. Per sconfiggerle traccio idealmente un’odierna linea di confine che parte dalla Sheffield dei Moonlandingz, passa dalla Nottingham degli Sleaford Mods ed arriva alla Bristol degli Idles. Tre strade diverse nei modi ma simili nella sostanza di urlare il proprio disprezzo nei confronti della mediocrità imperante. Politica e popolare. Gli Idles pestano duro e riportano alla mente giorni rumorosissimi e gloriosi della “mia” Gran Bretagna scorretta e ribelle.
New Year – Recent History
Dopo aver lasciato, con questa o con altre sigle gloriose come Bedhead, tracce indelebili nelle vite di molti dopo sette anni tornano i NewYear. E’ l’inizio della bella stagione e loro intitolano il nuovo album Snow. Perfetto.
Partono le prime tre note ed è tutto familiare come il profumo del sugo della domenica da bambini.
Sembra la colonna sonora perfetta per i titoli di coda di un film sulla nostra vita con tutto quello che è successo riassunto in poche, veloci sequenze.
Aldilà di famiglie e spazi questi, molto semplicemente, siamo noi.
Massimiliano Bucchieri