Le persone dal pianto facile non mi hanno mai persuaso. Le lacrime sono una faccenda importante e non andrebbero spese invano, un po’ come le parole.
Così come le parole più belle sono quelle che non si ha il coraggio di pronunciare, le lacrime più belle sono quelle trattenute. Quelle che velano lo sguardo e pare vogliano straripare da un momento all’altro ma restano lì, frenate dagli argini del pudore. Un tempo mi capitava più di frequente di vivere certi momenti, quelli in cui il pianto galleggia sul bordo delle ciglia come acqua di un fiume a un passo dall’esondazione dopo un diluvio. Ora è molto più raro. Se è vero che le lacrime possono rappresentare lo sciogliersi dello strato di ghiaccio che avvolge l’anima (questa non è mia, confesso), dovrei ammettere – non senza dispiacere – che il tempo ha reso sempre più spessa la coperta di ghiaccio che come un drappo funebre incarta la mia di anima, rendendo in tal modo arduo il disgelo.
Quando capita tengo il momento in debita considerazione e ne faccio tesoro.

Iceage “Pain Killer

La musica mi entusiasma sempre meno. Ma non è colpa sua. Anche perché in realtà non è solo la musica a coinvolgermi poco. Ne parlavo l’altro giorno con un’amica. Si discorreva a proposito degli ultimi film visti; arrivato alla fine di un lungo elenco mi sono accorto che di quei film non ce n’era uno che mi avesse davvero convinto, nessuno adatto a far scattare la scintilla. Encefalogramma tendente al piatto, averli visti o non averli visti tutto sommato non ha spostato nulla. Allora ho provato a ampliare il discorso. Magari si tratta solo di un periodo sfortunato per la creatività di sceneggiatori, registi e attori. Sono andato indietro nel tempo per quanto potessi ricordarmi ma niente, ancora il vuoto.

Parquet Courts “Almost Had to Start a Fight/In and Out of Patience

Da un paio d’anni ho deciso di riprendere a leggere libri con una certa costanza. Mi sono iscritto alla biblioteca comunale ché ormai nella libreria di casa mia non ho più spazio per la carta. E ho cominciato a macinare pagine. Da allora mi sono passati per le mani una cinquantina di libri, per lo più romanzi di narrativa contemporanea. Franzen, Albinati, Cognetti, Zadie Smith, Lauren Groff. Di quanto ho letto mi è rimasta addosso solo qualche frase a effetto che ho diligentemente appuntato sul quaderno. Citazioni buone per catturare l’attenzione di qualche interlocutore impreparato. Nessuna storia che valesse sul serio il tempo speso a leggerla. Livello di coinvolgimento personale non pervenuto.
Suppongo sia normale dopotutto. Sono quasi sicuro che dipenda da me e non dagli autori. Immagino che arrivati a una certa età la mancanza di entusiasmo sia inevitabile, soprattutto se negli anni si sono fatte molte cose. Tutto visto, tutto ascoltato, tutto analizzato e discusso. E’ una storia vecchia.
Negli anni ho divorato film, libri e dischi con frenesia, con la febbrile impazienza di scovare ciò che mi piaceva, quello che pensavo avrebbe alzato il livello, migliorato la qualità della mia vita. Forse avrei fatto meglio a rallentare la ricerca dosando le scoperte. Avrei dovuto tenermi qualcosa per dopo. Rimanere leggero e scivolare sopra le cose anziché provare a passarci attraverso.

Insecure Men “I don’t Wanna Dance (with My Baby)

Non mi piace più andare ai concerti. No, non è vero. Non è che non mi piaccia più, del resto andare in un locale a vedere suonare qualcuno è la sola forma di attività sociale che per quanto mi riguarda abbia sempre avuto un senso. Però non mi diverto più, questo è innegabile. Per lungo tempo ho pensato che a un concerto gli assenti avessero sempre torto. Qualunque cosa succeda sul palco vale sempre la pena essere lì davanti, a guardare e ascoltare. Ultimamente non ne sono più così sicuro. Al netto del contorno accessorio ad un concerto (amici, bar e qualche sporadica occasione di flirt per quelli che ancora ci credono), mi trovo sempre più spesso a confrontare la qualità del piacere sperimentato nel tempo trascorso in un club per il solo gusto di assistere a un live, con quello che avrei provato facendo altro. E il risultato del confronto non mi piace per niente. Anche perché “l’altro” che avrei potuto fare ha a che vedere perlopiù con i cuscini del mio divano e uno schermo a led, che sia il video di un televisore, il monitor di uno smart phone, di un tablet o di un pc poco cambia.

Go-Kart Mozart “When You’re Depressed

E’ per tutto questo e in questo personalissimo contesto che i dischi di Will Toledo valgono così tanto per me. Un ragazzo che ha meno della metà dei miei anni, che è nato a Leesburg (Virginia), vive a Seattle e ha orientamenti affettivi, definiamoli così per non offendere nessuno, diversi dai mei. Tanto per misurare tutta la distanza che c’è tra lui e me. Eppure Will Toledo è uno che scrive canzoni che dicono davvero qualcosa riguardo la mia vita. Uno che arriva a toccare punti che nessun altro lambiva più da tempo, sia con la musica che con le parole. Uno che frantuma le difese e raggiunge dritto il centro.
Mi ricorda quello di cui ogni tanto ho bisogno e che sempre più spesso dimentico di cercare.
La necessità di piangere.
E la voglia di sanguinare.

Car Seat Headrest “Bodys

Arturo Compagnoni


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