Mai amata l’estate, anzi l’avvicinarsi delle temperature estive portava con se ricordi poco avvincenti anche se rivelatori.
Faceva molto caldo in quell’estate del 1983 ma questo non smorzava il loro entusiasmo. C’era una serata epica da preparare. Un’epicità alla 4AD o più semplicemente un’insperata occasione di entrare in contatto con un mondo da sempre poco compreso. Non si sapevano ancora spiegare perché le due compagne di classe avessero accettato anzi, in un certo senso, avessero loro stesse incoraggiato la spedizione a quella improbabile serata.
Budrio, Puntacapo, Gaznevada. Galline da affrontare, balle di fieno da superare, nuvole di zanzare con cui battagliare per meritarsi il lercio dancefloor di provincia dove ondeggiare sulle note di I.C. Italian Love Affair (la premonitrice versione nostrana di pillole, brividi e mal di pancia? Madbudrio?) con le mani ben affondate nelle tasche e lo sguardo a fissare il linoleum, timidi poseur cittadini.
Mentre Script Of The Bridge girava incessantemente e infondeva loro coraggio e un pizzico di malinconia poco benaugurante i due affrontarono il primo grosso problema della serata, considerato che il loro gusto estetico poteva facilmente catalogarsi tra l’insulso e l’involontariamente esilarante. Abbigliamento consono alla serata. Fu scartata velocemente l’opzione Haircut 100 chè calzoncini corti e camicie colorate avrebbero potuto urtare la suscettibilità dei locali. Furono deposti velocemente, visto il caldo e la compagnia muliebre, i consueti camicioni neri da timidi ma convinti new wavers.
L’unica soluzione era Ivan l’inglese. Uno scarto di balera di nero vestito dal pesante accento pilastrino che erano abbastanza sicuri non avesse mai messo piede in terra d’Albione ma che aveva l’incommensurabile fortuna di avere una zia in qualche insignificante paesino del Regno Unito la quale ogni tanto, bontà sua, lo riforniva di libri, dischi e magliette. Merce da azzerare la salivazione a squattrinati wannabe ante litteram come noi che sognavano la Factory e supportavano orgogliosamente Garbo a Sanremo.
Ecco, Ivan non si fece pregare e srotolò sul lercio pavimento della sua officina alcune polo degne di essere impresse a posteriori sulla celluloide che ospitò le imprese di Ace Face e sodali in quel manifesto di stile e sostanza.
Risolto il problema se ne presentò uno risibile agli occhi di molti ma di vitale importanza ai loro.
La giusta sequenza di brani da far dipanare sulle strade padane strappando gridolini emozionati alla nostra prestigiosa compagnia o più prosaicamente le canzoni da imprimere sul nastro della loro Maxell 90.
Una prima facciata adatta a rompere il ghiaccio una volta prelevate le fanciulle e che rendesse il viaggio divertente e foriero di promesse future. Il dibattito fu acceso.. Bauhaus e Fall troppo? Sì, cazzo, troppo. Matt Johnson? Ok.
Una seconda parte notturna, confidenziale, una nebulosa a cui confessare i propri peccati subito prima di commetterne altri.
Nulla andò ovviamente come sperato. L’imbranataggine dei partecipanti di entrambi i sessi si tramutò in lunghi silenzi imbarazzati che neanche i Go Betweens o Billy Bragg riuscirono a dissipare fino al temuto, ma inevitabile, “non hai qualcosa di Venditti”?
Il concerto cominciò con un ritardo biblico a malapena contenuto dai nostri analcolici tiepidi e si svolse nell’amara constatazione che quanto stava accadendo davanti ai nostri occhi perplessi non era materia dei sogni nè nostra nè delle nostre annoiate accompagnatrici.
Curioso come i visi delle ragazze in questione si siano smaterializzati nel corso degli anni a guisa di Avengers e che l’unico vago ricordo che affiora ora ripropone una delle due fanciulle con le sembianze di Zinedine Zidane.
Il ritorno, silenzioso e veloce, ci consegnò alle nostre camerette con l’agrodolce consapevolezza di essere destinati ad una vita di malinconica ma orgogliosa militanza in una ristretta tribù di appartenenza.
Consapevolezza destinata a diventare granitica certezza negli anni a venire unitamente a quella, quando una delle due fanciulle la mattina seguente durante la ricreazione venne a sedersi sulle mie ginocchia sussurrandomi “me la fai una cassetta uno di questi giorni?” e diventando in breve la breaking news del nostro microcosmo, che dell’altra metà del cielo nulla era dato da capire e l’unica strada era rassegnarsi al sottostare dello scorrere degli eventi.
Massimiliano Bucchieri
Nessun commento su 1983: The Art Of Falling Apart (Fiver #16.2018)
1983: The Art Of Falling Apart (Fiver #16.2018)
