Rikki And The Last Days Of Earth – Four Minute Warning (DJM, 1978)

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Non so voi, ma io mica sono nato ‘imparato’, anzi. Non che lo sia ora, e quindi figuriamoci al tempo dei Beatles al Vigorelli, ma credo che a voler sapere tutto ci si faccia solo una discreta figura di guano. Tanto più che non posso vantare battesimi del pentagramma dal pedigrèe purissimo; nessun Abbey Road o Electric Ladyland. Niente Let It Bleed, Live At The Apollo o Blonde On Blonde. Macchè. Non solo per motivi strettamente anagrafici (a 18 mesi l’era dura farsi consigliare un ellepi, figuriamoci avere ascolti definiti, che per addormentarmi serviva inserire nel mangiadischi “Sono un simpatico” di Celentano) ma anche di concreto Q.I. Cosa di cui difetto. Ho sempre navigato dentro i banali laghetti del pop più o meno intelligente (ma ‘più meno che più più’), tra rive melmose e qualche giretto al largo, dove l’aria è più fresca e l’acqua più pulita. Resta il fatto che – dovesse arrivare un Pol Pot degli ascolti – io sarei irrimediabilmente spacciato con il mio imprimatur ascrivibile a Laurent Voulzy, per quanto Rockollection rimanga ancora un bel pezzone da mercimonio alcolico, cravatte slacciate e copule sul sedile posteriore, che non di soli Ok Computer vive l’uomo. Figuriamoci io.
È – piuttosto ed anzichenò – un bene, che così tieni sempre desta l’attenzione e riesci ad entusiasmarti ad lib per qualche piccolo (o grande) manufatto. Una lunga strada, quella dello scibile musicale, retta parallela che ci lambisce per una intera vita senza mai darci la vera percezione di toccarla appieno, lastricata com’è da pietre miliari, massi, nuggets & pebbles. Una fatica calpestarci sopra sapendone riconoscere la caratura. Lavoro immane ma pieno di soddisfazioni.

Insomma tutto questo pistolotto da vecchio e sdentato bacucco solo per trovare un gancio che conduca a Four Minute Warning, disco che scoprii tardissimo e ancor più tardi feci mio tramite vecchia C90 gentilmente doppiata da amico compiacente. E… ci credereste? Non mi colpì. Nessuna conversione per la via di Damasco, nessun fulmine emotivo. Eruttai un semplice ‘carino’, che è – più o meno – l’equivalente di ‘simpatica’ quando eviti di ammettere che quella compagna di classe che ti sbatte appresso le ciglia non è propriamente Jayne Mansfield. Un piacevole ponte sospeso sul guado tra rimasugli glam e del punk già inconsapevole new wave. Quanto si riesce ad essere sciocchi in giovane età, nevvero? Eppure ‘volli, sempre volli, fortissimamente volli’: troppo interessante immergersi in una compagine di benestanti ostracizzati da tutta la nascente scena punk, troppo sugosa la vita di Rikki Sylvan (Notato il nome? Ma nasceva come Nicholas Condron), pronto a farsi accerchiare da altri piccoli Lord Brummel come Valac Van Der Veene, Hugh Inge-Innes Lillingston, Nigel Bartle. Non li nominerò tutti ma quelli dal nome tutt’altro che proletario sì, tanto più che Lillingston divideva i banchi di scuola con David Cameron. Giusto per certificare l’assioma di gruppo assolutamente fuori dagli schemi, anche per censo. Tutto ‘troppo’, ed era questo il valore aggiunto di una banda che aveva eretto il proprio tratto distintivo su teatralità, clamore futuristico (anzi: glamore, ma mi soffermerei sul suffisso ‘amore’) e pomposità punk transumante wave; ossimoro bellissimo che ognuno di voi potrebbe far proprio rispetto alla sensibilità che possiede.

Insomma: Four Minute Warning è un piccolo (per vendite. E mai ristampato, tolta una scrausa versione siglata Anarchy Records; peste colga la discografia tutta) ma grande (per spermatozoi rock) disco che ho scoperto tardi, come vi dicevo. E susseguendone ascolti su ascolti. Troppo tardi forse, che le orecchie troppo smaliziate non sono un bene, ma tutta quella teatralità anni settanta che colava – a proposito: pochissimi prenderanno DAVVERO da qui, di prim’acchito mi sovvengono i Punishment Of Luxury – era una indecisa macchina del tempo che non sapeva o voleva farsi post-punk. La letteratura pop lo riporta unica genesi, attorniato da cinque singoli (uno dei quali – Twilight Jack – comunque contenuto nell’album ma mai effettivamente immesso sul mercato). Basterà per consegnarlo agli annali.

Ci giro attorno da millemila righe e ancora non riesco a darmi e darvi la netta percezione di un disco che è maggiore della somma delle sue parti e che è divenuto (all’epoca, ma anche oggi) il piede di porco con il quale scardinare il rock infilandone come perline i vari movimenti che si stavano susseguendo. Tocca usare il mirabile dono della cristallina sintesi appannaggio del buon Eddy Cìlia che – in uno dei rarissimi (l’unico?) articoli autoctoni sul manufatto in questione spiegava con una precisione chirurgica che: se a Berlino invece di David Bowie ci fosse andato Ziggy Stardust 4 Minute Warning sarebbe stato il risultato, City Of The Damned la sua Heroes”. Gioco, partita, incontro. Così è, se vi pare, e miglior definizione non avrebbe potuto esservi per spiegare quel 45 giri datato 1977 che molte cose avrebbe spiegato agli Ultravox con il punto esclamativo e tanti sentieri avrebbe disboscato per rendere la via più agevole ai boy scout che ne avessero voluto intraprendere il cammino. City Of The Damned è uno dei singoli più interessanti emersi dalle macerie fumanti del 1977, crasi mirabile tra Sparks, Virginia Plain, Lodger e il punk comunemente inteso. Sottolineo il concetto Punishment Of Luxury sperando di far cosa gradita e ‘aggiungi al carrello’. Due minuti e sedici secondi di macchina del tempo nella quale viene stivato di tutto, Arca di Noè sgomitante di Duran Duran, primevo Gary Numan (Sylvan andrà a mixare Replicas e The Pleasure Principle), Thomas Leer, Doctors Of Madness (ne parleremo, prima o poi), i Japan coevi di Adolescent Sex e – diomio! – i Magazine. Non voleste credere a me le tredici tracce potrebbero farvi spalancare la bocca e cristallizzare la mascella, aveste la costanza di approcciarle.

Outcast porta i Cockney Rebel dentro Klaus Nomi invitando gli Hansa Studios a fratturare in maniera scomposta mezza facciata di Low, stupefacente per impeto e per magniloquenza si pone come decisa testa di ponte new wave. E’ il 1978 e nessuno (tolti Colin Newman e i suoi Wire, forse) sapeva dove saremmo andati a parare. Rikki si tuffava dal lato giusto, invece, strappando un pallone dall’incrocio dei pali per consegnarlo ai posteri. B Movie è il più bel pezzo mai apparso su For Your Pleasure (solo suonato a 45 giri, e con Ronson in formazione). Picture Of Dorian Gray sferraglia e cavalca su un isterico Peter Hammill che si fa Rick Wakeman, mentre No Wave (It’s So Simple) spiega già tutto dal titolo con quella sua nu disco moro(ck)deriana. Non c’è LaDonna Adrian Gaines (Donna Summer per gli amici) ma un Sylvan che vuol farsi Cerrone e Suzi Quatro assieme. Aleister Crowley è un glam ottocentesco suonato sull’Orient Express in un talamo di riverberi; Amsterdam scivola nell’autocompiacimento ma si rialza prima di toccar terra con Solo Street, titolare di uno dei passaggi strumentali più cesellati di sempre. Loaded ha essenza di Banshees e d’assenzio, Sylvan crea in vitro lo spirito di Howard Devoto spingendo su un istrionico prog punk. La citata Twilight Jack prova ad andare in esilio sulla strada principale mentre Victimized è la vera e propria unica spilla punk del disco, aguzza ed appuntita. Disco che si chiude con la title track, dove ancora riemerge lo spirito di Steve Harley, facendone una Sebastian da nuovi romantici, che – a proposito – assai prenderanno da qui.

Four Minute Warning rimane disco bellissimo, una rarità priva dell’allure mediatico che usualmente colpisce manufatti di tal sorta. Forse la vera new wave nasce in questo momento, su questi 13 brani damascati da un senso del grottesco vittoriano. Rimane, dopo 40 anni una galassia totalmente incontaminata, l’anello mancante tra alcune specie musicali mai estintesi, un lavoro che, per qualche astruso motivo, non ha avuto la vera esposizione che meritava e giace nelle retrovie dei culti a buon mercato. Un disco per pochi suo malgrado, insomma. E un po’ mi dispiacerebbe che cadesse in mani impure o ne venisse fatto scempio. Ve lo dice uno stupido perché Rikki non può più farlo, dicono abbia già avuto il suo ultimo giorno sulla terra. R.I.P.

Michele Benetello


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