Non erano capitati molti momenti da passare insieme senza una chiassosa compagnia intorno, momenti nei quali il sorriso ed il calore che sprigionavi rappresentavano una sorta di centro di gravità.
Quella notte invece il silenzio nel viaggio che affrontavamo su un’autostrada deserta era a nostra disposizione per essere colmato come più ci aggradava.
Intrisi emotivamente dei racconti di Carrie and Lowell fu semplice assestarci subito su un registro intimo come mai ci era capitato in precedenza. Avevi questa qualità, sapevi ascoltare (dio mio che rara qualità impagabile) e intervenivi sempre con un’osservazione mai banale anzi a rilanciare con ancora maggior profondità il tema affrontato.

Snocciolavamo titoli di film, dischi, libri.. emozioni, entusiasmi e delusioni mentre tu, infinitamente più giovane, prendevi nota mentalmente dei pochi nomi che facevo e che non conoscevi per poi, giorni dopo, mandarmi messaggi con le tue considerazioni su quello che eri evidentemente andato a cercare e studiare con una profondità che avrei voluto possedere alla tua età. Il casello di Borgo Panigale, neanche a dirlo, arrivò troppo presto a porre fine ad una inedita esperienza di vicinanza emotiva tanto profonda quanto spontanea.

Ricordo quando diverso tempo dopo ti affiancai in motorino, affannato con il tuo cappottone e l’onnipresente busta di dischi in mano, su via Castiglione mentre cercavi di correre da un locale all’altro nel minor tempo possibile per non perdere neanche una nota suonata.. “salta su ma sappi che sono ubriaco” lo apostrofai… “anche io Massi!” e scoppiammo a ridere mentre ci avviavamo sbilenchi verso il Covo.

Al locale ci arrivammo e questi due momenti, in mezzo ad altri, li porto in particolare nel cuore ora che è successo quello che è successo, una cosa che non riesco emotivamente ad affrontare neanche a distanza di tempo, che ha scavato un solco nel cuore di molti e che mai nessuno saprà sintetizzare in termini migliori, universali e personali, di come ha fatto Arturo sulle pagine di Rumore.

Una frase in particolare di quell’articolo è focale e riguarda il patto (forse) mefistofelico stipulato con la musica e quello che gli gira intorno. Il confine niente affatto scontato tra salvezza e dannazione.
Mi è tornato in mente in questi giorni inconcepibili ed inauditi che stiamo vivendo.
Cosa ne sarebbe di noi se non potessimo aggrapparci alla musica, ai film, ai libri che hanno punteggiato le nostre vite e quello che ci hanno insegnato o illustrato?
Senza, per dire, la tenacia di Repeater, la disperata dolcezza di Between The Bars, lo straniamento estatico di Only Shallow, la voglia di combattere e la gioia di vivere senza perdere umanità e tenerezza di Levi’s Stubbs Tears e It Can Be Done.
Non dico come mero riempimento del tempo immobile di questo periodo ma anche per non perdere di vista il senso di quello che siamo stati e che diventeremo.
Sarebbe peggio indubbiamente.
E per capire anche che, comunque, non è abbastanza. Aiuta, certo, ma non è abbastanza.
E allora?
Allora non lo so, non ho risposte, mai come in questo momento non ce ne sono.
C’è troppo in ballo.
Vite stravolte, dolore, paura, rabbia.
So solo che quei momenti dati quasi per scontati di benessere seduti in una sala cinematografica, davanti ad un palco o fuori da un locale con un bicchiere in mano nei quali saluti con un abbraccio gli amici perché un ciao è maledettamente troppo poco sono un pensiero che deve aiutarci a non perdere la lucidità e la giusta rotta.
A cui è indispensabile tornare.
Assaporando ogni dannato istante.
Può essere fatto.

Massimiliano Bucchieri


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