Come scritto sul cartone che riveste i mobili di lusso, gli elettrodomestici, gli oggetti preziosi: non capovolgere, fragile.
Nel 2020, il mondo si è capovolto e ci siamo scoperti fragili: abbiamo avuto paura, abbiamo capito quanto tutto quello che diamo per scontato sia frangibile, come possa essere perduto in un attimo. Il tasso di letalità del Covid-19 è stato di poco superiore al 2%. Il, per fortuna, più raro Mers-CoV aveva infettato, tra il 2012 e il 2019, solo 2494 persone in 27 Paesi, ma ne aveva uccise 858, assestandosi su uno spaventoso 34,4%. Se il virus che ha causato la pandemia di due anni fa fosse stato solo un poco più letale, con la sua rapidità di trasmissione e il nostro mondo inevitabilmente connesso, l’umanità per come la conosciamo sarebbe scomparsa. Scenari apocalittici da filmaccio americano sarebbero diventati realtà: città deserte, servizi assenti,
infrastrutture collassate in un pianeta abitato da qualche centinaio di migliaia di umani sparsi qua e là. Non è successo, per fortuna. Ma la vita ci si è ribaltata comunque quanto basta per lasciare segni profondi. Abbiamo capito di essere fragili.

Nel 2021, abbiamo scoperto quanto non solo la vita sia facile da perdere, ma come lo siano anche quelle sovrastrutture che abbiamo creato perché ci sopravvivano: l’ordine, la politica, le norme che regolano le nostre società. Abbiamo visto come tutto quello che crediamo sicuro possa sgretolarsi e scomparire in un momento. E, se le restrizioni sociali imposte per fronteggiare il virus non fossero state abolite? Se da un green pass per muoversi, avere una vita sociale, si fosse passati a un patentino per accedere ad alcuni servizi? Gattaca, film ciberpunk anni ’90, immaginava una società divisa in classi sociali determinate dalla genetica: perché un’azienda dovrebbe perder tempo a formare e pagare un lavoratore con un’alta probabilità statistica di
ammalarsi gravemente a meno di 50 anni, quando può scegliere soggetti geneticamente più sicuri? Questione di percentuali, distopie. Forse solo per qualche decimale, per qualche virgola zero x.

Pensieri faticosi, a un giorno da Natale. Per me Natale è sempre stato un periodo complicato. Sono di quelli a cui le lucine, le canzoncine fuori dai negozi tendono a mettere malinconia. Sono di quelli che in questi momenti sentono più forte la tristezza degli altri: di chi non ha una casa da addobbare, una persona da abbracciare mentre fa l’albero, qualcuno a cui comperare un regalo, dedicare un pensiero. Mi innervosiscono i social pieni di post con la neve, di frasi stupide sul kintsugi, di cuori grandi e decorazioni natalizie e renne che tanto fanno ridere. Odiavo il giorno in cui, in via Mentana a Bologna, arrivava l’omarino col furgone e il trabattello per appendere le palle
luminose da accendere dall’impianto dell’Orsa. Poi, qualcosa del Natale è tornato a piacermi, come quando ero bambino. Forse, la fortuna di aver vicino chi mi fa sentire al caldo come allora, ha riacceso le lucine. Ma un po’ di ometto verde e puzzone che vorrebbe rubare l’ebetismo da 25 dicembre mi è rimasto dentro. E un po’ di pensieri cupi pure, quelli non si riposano neanche
durante le feste.

Nel 2022, il mondo doveva diventare migliore. Passato il brivido per la mancata estinzione, l’umanità si sarebbe dovuta interrogare sui propri errori e fare ammenda, cominciare a riparare davvero le cose, altro che foglie d’oro fra i cocci. Dagli applausi sui balconi si doveva passare alle opere di bene, all’impegno, alla fatica da dedicare agli altri. Non mi pare sia successo. Mi sembra, invece, che sia stato l’anno della glorificazione dell’individualismo, della legittimazione assoluta e definitiva dell’ego al di sopra di ogni cosa. Dopo due anni così, vuoi che non mi dedichi a me stesso? Questo mi pare sia il messaggio più forte dell’anno che sta finendo. Indifferenza, apatia. La guerra alle porte, condotta da uomini attenti alle foto su Vogue forse più che al dolore della propria gente e da invasati convinti di essere i predestinati che devono fare la Storia, ha già annoiato. Sui social niente più bandiere gialle e blu, niente più Imagine e fiori nei cannoni. La noia di notizie che tanto son sempre brutte, per occhi non più abituati a guardare negli occhi degli altri,
non più abili ad ascoltare e imparare, troppo presi dal sentenziare e postare.

E, allora, forse perché sono un po’ stanco di questi ultimi tre anni, forse perché sono un po’ deluso, magari ci avevo sperato davvero nel “ne usciremo migliori”; forse perché sono un po’ stufo di vedere bipedi sonnolenti ingobbiti sui propri smartphone non indignarsi, parlare a vanvera di tutto e non sporcarsi mai le mani; forse perché sono un po’ ammorbato da tutti quelli che si esaltano per uno che entra in parlamento con gli stivali infangati a uso e consumo dei fotografi e si sentono santi e rivoluzionari; forse perché è Natale e penso che davvero si dovrebbe aiutare chi ne ha bisogno, con le mani, le proprie, non con le chiacchiere e i post; forse per tutte queste cose, anche questo Natale sarò felice di abbracciare chi amo, di brindare con le persone belle che per fortuna riempiono la mia vita, ma, sarò anche il solito Grinch che non vede l’ora di veder sparire le lucine, le facce ebeti nei negozi sovraffollati e le stronzate social sulle crepe giapponesi riempite d’oro. Buone nevicate su Insta, buone citazioni di filosofie orientali, buon Natale e chissà che davvero porti qualcosa di buono.

FABIO RODDA


Una replica a “NON CAPOVOLGERE – FRAGILE”

  1. Avatar Enri1968

    Mah… comunque Auguroni!!!

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