Non è affatto un dettaglio marginale: John Cale compirà 81 anni tra qualche mese.

Il tempo batte inesorabile il suo ritmo e ascoltare un disco come “Mercy” è in qualche modo confortante, ci regala un assaggio di eternità. Ricordo i miei vent’anni, quando osservavo qualcuno con qualche anno in più di me che acquistava un disco o si muoveva a ritmo sotto un palcoscenico. Lo vivevo come una forma di rassicurazione, come se vincessi alla lotteria virtuale del tempo da guadagnare e da vivere in quel modo, ascoltando dischi e vedendo concerti. Rifiutavo l’idea che tutto quel bagaglio di emozioni potesse essere limitato ad una sola stagione. 

John Cale ha dedicato una vita alla creazione artistica, ispirando gli altri con la sua dedizione all’innovazione e alla sperimentazione. Non ha mai guardato indietro con rimpianto, ma sempre in avanti, verso nuove avventure creative. La sua vita è un esempio di come l’arte e la creatività possono essere una costante fonte di ispirazione.

Ciò si evidenzia in “Mercy”, il suo primo album di canzoni inedite degli ultimi dieci anni. Il disco presenta suoni e uno spirito aderenti alla contemporaneità e non è un caso che Cale si circondi di ospiti e collaboratori giovani come Animal Collective, Sylvan Esso, Laurel Halo, Tei Shi e Actress. Nonostante le presenze esterne, Cale rimane il principale responsabile della gestione del processo creativo e del controllo del tempo e delle condizioni delle canzoni presenti, dando vita a un’opera con una forza narrativa omogenea non scontata. Annunciato dal singolo “Story of Blood” con la partecipazione sfuggente e spettrale di Weyes Blood, l’album trasmette un’atmosfera inquietante ed evocativa, creando un’esperienza unica e coinvolgente. Il disco è un mix di elettronica lunare, catartica, con accenni funk che si distendono su reticoli di sintetizzatori e ritmi che orbitano circolarmente. L’album esplora temi come i ricordi e i fantasmi del passato che accompagnano la vita di una persona nel corso degli anni, senza alcuna malinconia, facendo riferimento esplicito alla sua storia con i Velvet Underground in “Moonstruck (Nico’s Song)” e alla sua amicizia con David Bowie in “Night Crawling”, fornendo una prospettiva personale su come questi eventi hanno influenzato la sua vita e la sua musica.

Mercy non è un disco immediato, richiede pazienza e un po’ di impegno per comprenderne i dettagli e riuscire ad entrare in sintonia con un mondo di bellezza algida non semplice da affrontare. Superato l’ostacolo iniziale, “Mercy” regala un affascinante viaggio sensoriale e una celebrazione di John Cale in tutta la sua complessità.

Cesare Lorenzi


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